LA BELLA E LA
BESTIA - di Charles Perrault (traduzione di Carlo Collodi)
SECONDA PARTE
"Vorrei
piuttosto morire", disse il mostro, "che darvi un dispiacere; io vi manderò da vostro padre: voi
resterete con lui e la vostra Bestia morirà di dolore."
"No", rispose la
Bella piangendo, "io vi voglio troppo bene per essere cagione della vostra
morte. Vi prometto di ritornare fra otto giorni. Mi avete fatto vedere che le
mie sorelle sono maritate e che i miei fratelli sono partiti per l'armata. Il
mio povero padre è rimasto solo; lasciatemi almeno una settimana con lui."
"Domattina
ci sarete", disse la Bestia, "ricordatevi delle vostre promesse. Quando vorrete tornare,
non dovete far altro che posare il vostro anello sopra la tavola nell'andare a
letto. Addio, Bella."
La Bestia, mentre parlava così, sospirò secondo il suo uso
solito, e la Bella andò a letto, tutta dispiacente di avergli dato questo
dolore.
Quando si svegliò la mattina
dopo, si trovò in casa di suo padre; e avendo suonato il campanello accanto al
letto, vide venire la serva, la quale cacciò un grand'urlo di sorpresa.
Il buon uomo di suo padre, a
quell'urlo, corse subito, e nel rivederla, ci mancò poco non morisse dalla
contentezza: e stettero abbracciati per più di un quarto d'ora.
Sfogate le prime tenerezze, la
Bella pensò che non aveva vestiti per potersi levare, ma la serva le disse di
aver trovato nella stanza accanto un gran baule pieno di vestiti, tutti d'oro e
ornati di brillanti.
La Bella ringraziò la buona Bestia
delle sue attenzioni: scelse fra quei vestiti il meno vistoso e ordinò alla
serva di riporre gli altri, dei quali intendeva farne un regalo alle sorelle:
ma appena ell'ebbe pronunziate queste parole, il baule sparì. Peraltro suo
padre avendole detto che la Bestia voleva che ella serbasse per sé ogni cosa,
il baule ritornò al suo posto.
La Bella si vestì, e in questo
mentre furono avvertite le sue sorelle, le quali corsero subito insieme ai cari
mariti. Tutte e due avevano combinato molto male! La maggiore aveva sposato un
gentiluomo, bello come un amore, ma tanto innamorato di sé, che dalla mattina
alla sera non faceva altro che guardarsi allo specchio, senza curarsi né punto
né poco della bellezza della moglie.
La seconda aveva sposato un
uomo che aveva molto spirito, ma se ne serviva soltanto per essere la
disperazione di tutte le donne, cominciando da sua moglie.
Le sorelle di Bella quando la
videro vestita come una Regina e bella come un occhio di sole, se non creparono
dalla rabbia, fu un miracolo.
Ella ebbe un bell'accarezzarle;
nulla poté ammansire la loro gelosia; la quale anzi si accrebbe a cento doppi,
quando raccontò quanto era felice.
La due invidiose scesero in
giardino per potersi sfogare a piangere, e dicevano:
"O perché quella ragazzuccia
è più fortunata di noi? Non siamo forse più
graziose e più belle di lei?".
"Cara sorella", disse
la maggiore, "mi viene un'idea: facciamo di tutto per trattenerla qui per
più di otto giorni; la sua stupida Bestia anderà sulle furie per la parola non
mantenuta e forse la divorerà per castigarla."
"Dici bene, sorella",
rispose l'altra, "ma perché la cosa riesca, bisogna cercare di ammaliarla
con molte moine."
Preso questo partito,
risalirono in casa tutt'e due e cominciarono a fare tante e poi tante
garbatezze alla sorella, che questa ne pianse di consolazione. Passati che
furono gli otto giorni, le due sorelle si strapparono i capelli e diedero segni
di disperazione per la partenza di lei, che ella finì col promettere di
trattenersi altri otto giorni.
Intanto la Bella rimproverava a
se stessa il dolore che stava per dare alla sua povera Bestia, che essa amava
davvero e che ora era dispiacente di non poterla vedere. La decima notte che
ella passò in casa del padre, sognò di trovarsi nel palazzo e di vedere la
Bestia distesa sull'erba, vicina a morire, e che le rinfacciava la sua
ingratitudine.
Bella si destò tutt'a un tratto
e pianse: "Non son io molto cattiva" essa diceva "di dare questo
dispiacere a una Bestia, che è stata tanto buona con me? » colpa sua se è così
brutta e se ha poco spirito? Ella è buona: e questo val più d'ogni cosa. Perché
non ho io voluto sposarlo? Io sarei più felice con lui che le mie sorelle coi
loro mariti. Non è la bellezza né lo spirito di un marito che rendono felice una
donna; ma la bontà del carattere, la virtù e le buone maniere: e la Bestia ha
tutte queste belle cose. Io non sento amore per essa ma la stimo, e ho per lei
amicizia e riconoscenza. Ma non debbo renderla disgraziata: questa
ingratitudine sarebbe per me un rimorso per tutta la vita".
Dette queste parole, la Bella
si leva, mette l'anello sulla tavola e ritorna a letto. Appena coricata si
addormentò e, svegliandosi la mattina, vide con gioia di essere nel palazzo
della Bestia.
Si messe i vestiti più belli per
andarle a genio anche di più, e s'annoiò mortalmente nella smania di aspettare
che arrivassero le nove ore di sera: ma l'orologio ebbe un bel suonare le nove:
la Bestia non comparve.
La Bella allora temé di averle
cagionato la morte: e disperata si dette a girare per tutto il palazzo,
mandando altissimi pianti.
Dopo aver cercato dappertutto,
si ricordò del sogno e corse in giardino, vicino al fiume, dove dormendo,
l'aveva veduta.
E difatti fu lì che trovò la
povera Bestia distesa per terra priva di sensi: talché la credette morta. Senza
provar ribrezzo di quella brutta figura, si gettò tutta sopra lei, e avendo
sentito che il cuore batteva sempre, prese dal fiume un po' d'acqua e le bagnò
la testa.
La Bestia aprì gli occhi e
disse alla Bella: "Voi
avete dimenticata la vostra promessa: e il gran dolore di avervi perduta mi ha
fatto decidere a lasciarmi morir di fame: ma ora muoio contenta, perché ho
avuto la consolazione di potervi rivedere".
"No, mia cara Bestia, voi
non morirete", le disse la Bella, "voi vivrete per diventare mio
sposo: da questo momento io vi do la mia mano, e giuro che non sarò d'altri che
di voi. Ohimè! io credeva di non aver per voi che dell'amicizia, ma il dolore
che sento mi fa credere che non potrei più vivere senza vedervi."
Appena la Bella ebbe pronunziato queste parole, ecco che
tutto il castello appare risplendente di lumi: i fuochi di artifizio, la
musica, ogni cosa annunziava una gran festa. Ma queste meraviglie non
incantarono punto i suoi occhi: ella si voltò verso la sua cara Bestia, il cui
pericolo la teneva in tanta agitazione. E quale fu il suo stupore! La Bestia
era sparita, ed essa non vide ai suoi piedi che un Principe bello come un
amore, il quale la ringraziava per aver rotto il suo incantesimo. Sebbene
questo Principe meritasse tutte le sue premure, ella non poté stare dal
chiedergli dove fosse la Bestia.
"Eccola ai
vostri piedi", le disse il Principe, "una fata maligna mi aveva condannato a restare sotto
quell'aspetto finché una bella fanciulla non avesse acconsentito a sposarmi, e
mi aveva per di più proibito di far mostra di spirito. Così in tutto il mondo
non ci voleva che voi, per lasciarsi innamorare dalla bontà del mio carattere:
ed offrendovi la mia corona, non posso sdebitarmi del gran bene che mi avete fatto."
La Bella, piacevolmente
sorpresa, porse la mano al bel Principe perché si rialzasse in piedi. E
andarono insieme al castello, dov'essa ci mancò poco non si sentisse svenire
dalla gioia, trovando nella gran sala il padre suo e tutta la sua famiglia, tra
sportata al castello da quella bella Signora che le era apparsa in sogno.
"Bella", le disse
questa Signora, che era una fata e di quelle coi fiocchi, "venite a
ricevere la ricompensa della vostra buona scelta: voi avete preferito la virtù
alla bellezza e allo spirito, e meritate per questo di trovare tutte quelle
cose raccolte in una sola persona. Voi state per diventare una gran Regina: ma
spero che il trono non vi farà scordare le vostre virtù. Quanto a voi, mie care
signore" disse la fata alle due sorelle della Bella "conosco il
vostro cuore e tutta la cattiveria che c'è dentro: diventerete due statue; ma
nondimeno serberete il lume della ragione sotto la vostra forma di pietra.
Starete alla porta del palazzo
di vostra sorella; e non vi impongo altra pena che quella di essere testimoni
della sua felicità. Non potrete ritornare nello stato primiero, se non quando
riconoscerete i vostri errori: ma ho una gran paura che dobbiate restare statue
per sempre. Si può correggere l'orgoglio, le bizze, la gola, la pigrizia; ma la
conversione di un cuore invidioso e cattivo è una specie di miracolo."
Nel dir così, diede un colpo di
bacchetta, e tutti quelli che erano in quella sala, furono trasportati negli
Stati del Principe. I suoi sudditi lo rividero con gioia, ed esso sposò la
Bella, che visse con lui lungamente e in una felicità perfetta, perché era
fondata sulla virtù.
COMMENTARIO
La bella e la bestia,
illustrazione di Walter Crane
La bella e la bestia
(titolo francese: La belle et la bête) è una famosa fiaba europea,
diffusasi in molteplici varianti, le cui origini potrebbero essere riscontrate
in una storia di Apuleio, contenuta ne L'asino d'oro (conosciuto anche
come Le metamorfosi) e intitolata Amore e Psiche. Le somiglianze con l’antica Grecia sono
infatti rilevanti.
1. Alcune
fonti attribuiscono la ricreazione del racconto originale a Giovanni Francesco
Straparola e apparve nel suo libro di racconti Le piacevole notti, nel
1550. Una antica versione francese descriveva il padre come un re e la bestia
come un serpente.
2. Charles
Perrault rese popolare la storia nella sua raccolta Contes de ma mere l'oye
(I racconti di mamma Oca), nel 1697. Anche altri autori, come Giambattista
Basile nel Pentamerone, o Madame d'Aulnoy con il suo Le Mouton (La
pecora), proposero delle variazioni della stessa storia. Perrault inaugurò una
tendenza che si allontanava da questa forma tradizionale di narrar storie, e le
donne che lo seguirono, Lhéritier, Madame d'Aulnoy, Beaumont, andarono ancora
più in là. Il più umile degli uomini, nei loro racconti, era un cavaliere; i
pastori erano principi mascherati e la maggior parte dei protagonisti erano
sempre re o regine. Tali influenze nella storia spiegano le differenze
esistenti tra la versione prima de La bella e la bestia, attraverso gli
scrittori francesi, e le versioni più tradizionali.
3. La
prima versione scritta che sviluppa il racconto così come lo conosciamo oggi fu
pubblicata nel 1740 dalla scrittrice francese Gabrielle-Suzanne Barbot de
Villeneuve, ne La jeune américaine, et les contes marins. Era una serie
di racconti narrati da una anziana signora durante un lungo viaggio per mare.
Villeneuve scriveva fiabe basate sul folclore europeo, per intrattenere amici e
conoscenti nei balli e nei salotti.
4. L'aristocratica
francese Jeanne-Marie Leprince de Beaumont (1711 - 1780) era emigrata in
Inghilterra nel 1745, dove iniziò a lavorare come insegnante e scrittrice di
libri sull'educazione e la morale. Avendo letto la novella di Villeneuve, la
abbreviò in larga misura e la pubblicò nel 1756 come parte della collezione Magasin
des enfants, ou dialogues entre une sage gouvernante et plusieurs de ses élèves.
Prendendo gli elementi chiave della storia originale, Beaumont omise molte
scene delle origini o delle famiglie dei protagonisti e modificò la scena della
trasformazione della bestia, che nell'originale di Villeneuve avviene dopo la
notte di nozze (ehm…). Avendolo scritto come racconto educativo per i
suoi alunni, molti dei dettagli scabrosi o sovversivi dell'originale furono
soppressi (come accadde con quasi tutte le altre fiabe che ci sono state
trasmesse). La versione di Beaumont, dunque, fu considerata la più
caratteristica, al punto tale che, già soltanto un anno dopo, nel 1757, fu
tradotta in inglese, con il titolo The Young Misses Magazine, Containing
Dialogues between a Governess and Several Young Ladies of Quality, Her Scholars.
La tradizione francese di quell'epoca consisteva nell'elaborare storie
quotidiane, con una tendenza a svilupparle su uno sfondo di emozioni umane al
posto degli elementi magici. Si eliminava tutto quanto fosse sanguinoso o
crudele e si scriveva in forma diretta e concisa, con uno stile sobrio e privo
di ornamenti. Gli scrittori francesi di racconti adattarono le loro storie al
proprio gusto classico, logico e persino razionale.
TRAMA
VERSIONE DI BEAUMONT
Un ricco e vedovo
mercante viveva in una città insieme alle sue tre figlie. Due erano presuntuose
e vanitose, mentre la più giovane, che per la sua avvenenza avevano chiamato
Bella, era umile e pura di cuore. Tutte e tre le fanciulle potevano vantare un
gran numero di pretendenti, ma mentre le prime due, che desideravano sposarsi
con un nobile, rifiutavano tutti i giovani indistintamente, Bella si
intratteneva con loro in amabile conversazione, prima di rifiutarli con
gentilezza. Un giorno il mercante perse improvvisamente tutte le sue ricchezze
e da quel momento più nessun pretendente fu visto avvicinarsi alle fanciulle,
se non talvolta a Bella, la quale comunque continuò a rifiutarli dolcemente. Il
mercante, dunque, si trasferì con le sue figlie nelle campagne della provincia,
dove vissero per alcuni anni.
Un giorno egli venne a
sapere che una delle sue navi mercantili era riuscita ad arrivare in porto,
dopo essere scampata alla distruzione dei suoi compatrioti. Così decise di
tornare in città per cercare di scoprire se nella nave era rimasto qualcosa di
valore. Prima di partire, chiese alle figlie se desideravano qualcosa in dono.
Pensando che la fortuna stesse tornando a sorridergli, le due figlie maggiori
domandarono gioielli e vestiti sfarzosi. Bella, invece, si accontentò di
chiedere una rosa, di quelle che non crescevano nella parte del paese in cui
vivevano. Arrivato in città, il mercante scoprì che il carico della nave era
stato venduto per pagare i suoi debiti e, pertanto, non ebbe più nemmeno un
soldo per comprare alle figlie ciò che aveva loro promesso.
Triste e sconsolato,
fece ritorno a casa, ma durante il cammino fu sorpreso da una bufera di neve nel
mezzo di un bosco e così fu costretto a cercare rifugio in un enorme castello
apparentemente abbandonato. Perlustrando il maestoso maniero, si accorse che
esso era pulito e ben arredato, ma stranamente non riuscì a trovarvi né servi
né sentinelle. Uno dei terrazzi si affacciava su un meraviglioso giardino, in
cui poté vedere un bel roseto in fiore. Così si ricordò della promessa che
aveva fatto alla figlia minore e corse a cercare la rosa più bella. Ma mentre
stava per coglierla, fu sorpreso dal padrone del castello, che era una enorme e
terribile bestia, il quale gli rimproverò di aver ricambiato la sua generosa
ospitalità con un tentativo di furto e sentenziò che per questo ora meritava la
morte. Il mercante tentò di giustificarsi raccontandogli del desiderio della
sua bella figlia, ma la bestia non volle sentire ragioni e decise di
risparmiargli temporaneamente la vita a patto che al suo posto egli portasse al
castello la giovane, altrimenti sarebbe dovuto ritornare a saldare il suo
debito di lì a tre mesi.
Preso un baule colmo di
ogni ricchezza che la bestia aveva voluto concedergli, il mercante tornò a casa
con una gran pena nel cuore, pensando però che almeno sarebbe riuscito a
salutare le sue figlie per l'ultima volta prima di morire. Giunto a destinazione,
raccontò l'accaduto alle fanciulle e Bella, resasi conto che la colpa di tale
disgrazia era solo sua, si offrì di andare al castello al posto del padre, per
la gioia delle sorelle che in un colpo solo si sarebbero liberate dell'odiosa
rivale e avrebbero riconquistato le ricchezze perdute.
Dopo lunghe discussioni,
Bella si recò al castello insieme al padre, al quale la bestia concesse la
libertà, intimandogli di non tornare mai più. Con la giovane, invece, si
dimostrò cortese e gentile e le offrì di vivere per sempre nel suo castello,
circondata di tutte le ricchezze in suo possesso, pensando che così non avrebbe
mai potuto desiderare di tornare nella casa paterna. Le regalò anche uno
specchio magico, in cui avrebbe potuto in ogni momento vedere la sua famiglia.
Tutte le sere domandava a Bella se voleva sposarlo, ma la giovane, per non
mortificarlo, gli rispondeva che gli voleva bene e che sarebbe stata sempre sua
amica.
Dopo qualche mese Bella
vide nello specchio magico che suo padre si era ammalato e pregò la bestia di
lasciarla andare a casa perché potesse tenergli un po' compagnia. La bestia
alla fine acconsentì, ma la pregò di tornare dopo una settimana, altrimenti
sarebbe morto di dolore. Il giorno seguente, al risveglio, Bella si ritrovò in
camera sua nella casa del padre, che la accolse con gran gioia, meravigliandosi
che fosse ancora viva. Le due sorelle, sposate ma tutt'altro che felici,
invidiarono non poco la fortuna della giovane, vedendola in carne e ossa e per
di più agghindata come una regina. Così cominciarono a tramar vendetta:
trascorsa una settimana, infatti, le chiesero di restare qualche giorno in più,
fingendo di piangere disperate. Commossa, Bella acconsentì, ma cominciò ben
presto a sentirsi in colpa per aver infranto la sua promessa con la bestia.
Così ritornò al castello, dove trovò la bestia
agonizzante di dolore, e lo pregò di non morire perché voleva sposarlo. Appena
pronunciate queste parole, la bestia sparì e al suo posto comparve un
bellissimo principe, a cui una strega tempo prima aveva fatto un incantesimo,
trasformandolo in quell'orribile mostro che Bella aveva conosciuto. La
maledizione si sarebbe spezzata solo quando una donna avesse voluto sposarlo.
Bella e il principe vissero felici per il resto della loro vita insieme al
padre della giovane, mentre le due malvagie sorelle furono trasformate in
statue, così che potessero assistere alla felicità altrui finché non si fossero
pentite della loro cattiveria (cioè mai, secondo l’intendimento finale del
racconto, che è anche la morale secondo la quale dalla cattiveria pura non si
può guarire. La fata alla fine del racconto infatti dice: ” Si può correggere l'orgoglio, le bizze, la gola, la pigrizia; ma
la conversione di un cuore invidioso e cattivo è una specie di miracolo").
VERSIONE PRECEDENTE DI
VILLENEUVE
La versione originale di
Villeneuve è molto più estesa di quella di Beaumont. In quasi 400 pagine,
infatti, Villeneuve fornisce numerosi dettagli che Beaumont omette e che
riguardano fondamentalmente il trascorso familiare sia di Bella che del
principe. In questa versione, Bella era la figlia del re delle Isole Felici e
di una fata buona. Ma una strega malvagia s'era invaghita del monarca
dell'Isola Felice e così, imprigionata la madre della principessina, la megera
decise di eliminare l'ultimo ostacolo che si frapponeva fra lei e il suo amore.
Per questo motivo, il padre fece nascondere la propria figlia, cercando di
farla passare per una delle figlie - che davvero era morta - di un ricco
commerciante. Il Principe, invece, perse il padre in tenera età e non poté
godere nemmeno dell'amore materno, poiché la regina era impegnata in una guerra
per la difesa del regno e lo lasciò alle cure di una maga. Questa tentò in
tutti i modi di sedurre il giovane, una volta adulto, ma questi la rifiutò e fu
così trasformato in una orrenda bestia.
Quasi la metà della
storia di Villeneuve è incentrata sulle guerre tra streghe e re e propone una
visione del castello molto più oscura e magica di quella tradizionale.
Beaumont decise di omettere
completamente lo sfondo familiare e tragico, svincolandosi dal messaggio che
Villeneuve volle dare alla propria storia: un'aspra critica della società
contemporanea, in cui le donne erano costrette a sposarsi per convenienza, con
dei mariti che erano talvolta ben peggiori della Bestia. Eliminando
tutti i personaggi secondari, Beaumont adattò, o riadattò, la storia,
riducendola a una semplicità quasi archetipica e seguendo gli stessi schemi
delle numerose varianti precedenti della fiaba.
La versione di Beaumont
è quella che si considera tradizionale ed è stata la più diffusa e conosciuta.
Tutte le interpretazioni, gli adattamenti e le versioni successive si basano su
questa versione e non su quella originale di Villeneuve.
INTERPRETAZIONE
Innanzitutto, la fiaba
simboleggia l'animalità esistente nella condizione umana, poiché in moltissimi
miti e racconti popolari si narra di un principe trasformato, attraverso una
stregoneria, in un animale selvaggio o in un mostro, che viene liberato
dall'incantesimo dal bacio e dall'amore di una fanciulla.
La bella e la bestia
può essere interpretata come il raggiungimento della maggiore età e la
conquista della sessualità di una bambina. Considerando l'amore del padre, che
l'adorava al di sopra delle altre sorelle, come un amore puro, la piccola
percepisce la sessualità come qualcosa di perverso: ogni uomo che provi un
desiderio sessuale nei suoi confronti è una bestia. Solo dal momento in cui
Bella riesce ad assimilare le relazioni sessuali come umane e adulte, può raggiungere
la felicità. Tuttavia, una variante di questa interpretazione vorrebbe che il
sentimento della bestia fosse primitivo e brutale, ma l'amore della donna lo
trasforma in qualcosa di umano e misurato, che nel racconto sarebbe
simboleggiato dalla trasformazione fisica della bestia in principe.
La fiaba è stata anche
interpretata come critica dei matrimoni di convenienza. Le prime versioni,
infatti, furono scritte da persone di classe sociale alta dell'ancien régime
francese, dove tali unioni erano abituali. Nella narrazione di questa fiaba si
osserva, come metafora, il matrimonio di una fanciulla molto giovane con un
uomo molto più grande di lei, senza il suo consenso. La fiaba critica queste
pratiche, ma allo stesso tempo rivendica che, se le donne cercano
nell'interiorità dei loro anziani mariti, possono trovare l'essere buono che si
nasconde dietro l'apparenza della bestia. O che esse stesse possano rendere
possibile la trasformazione mediante il loro amore.
La storia de La bella
e la bestia appare in molte altre culture in varie forme. Aarne-Thompson
conta 179 racconti di diversi paesi con un tema simile. Generalmente ci sono
tre sorelle; la più giovane, Bella, è pura e buona, mentre le altre due
mostrano alcuni dei peggiori tratti umani: avarizia, invidia, superbia.
Bella non ha alcun nome,
è semplicemente la più giovane delle sorelle e le viene dato il soprannome di
Bella per la sua avvenenza e perché è la preferita di suo padre. Si noti anche
che non compare mai la figura materna, ovviando così ai conflitti generati dal
fattore logico che una tale figura si rifiuterebbe di far vivere la figlia con
un mostro. Allo stesso tempo, si fa sì che la relazione con il padre,
normalmente ricco, sia molto più stretta e renda possibile lo sviluppo della narrazione.
Benché la bestia, nelle varie versioni, abbia diverse forme (serpente, lupo e
persino maiale), le caratteristiche fondamentali sono sempre le stesse: è ricco
e potente, ma mai bello o attraente. A un certo punto, Bella si separa dalla
bestia, che così si ammala terribilmente, per una qualche ragione (amore,
tradimento, disegni magici della sua maledizione), e giace moribonda. I rimorsi
di coscienza di Bella, siano essi una semplice lacrima o un viaggio in capo al
mondo per poi tornare con il suo amato, salvano la bestia, che si trasforma in
un bellissimo principe. La bellezza implicita della bestia risorge quando Bella
diviene capace di scorgerla sotto la sgradevole apparenza esteriore.
Il racconto può anche
essere letto dal punto di vista psicologico. Gli uomini sono passivi, le
anziane poco o per nulla comprensive, Bella, la più giovane, sempre pura e
virginale, e il suo maggior desiderio è una rosa. Secondo i Greci e i Romani,
la rosa era il simbolo del piacere, associato al lusso e alla stravaganza.
Rappresentava il fiore dell'amore e del romanticismo. L'amore di Bella per suo
padre è rappresentato dalla sua richiesta di una rosa in dono. La malattia del
padre può essere interpretata in senso letterale o in senso figurato, giacché
l'amore di Bella, a questo punto della storia, non è più rivolto al genitore,
ma alla bestia.
La morale vera è contenuta nel
discorso finale della fata "Bella", le disse questa Signora, che era
una fata e di quelle coi fiocchi, "venite a ricevere la ricompensa della
vostra buona scelta: voi avete preferito la virtù alla bellezza e allo spirito,
e meritate per questo di trovare tutte quelle cose raccolte in una sola
persona.
Voi state per diventare una
gran Regina: ma spero che il trono non vi farà scordare le vostre virtù”.
“Quanto a voi, mie care
signore" disse la fata alle due sorelle della Bella "conosco il
vostro cuore e tutta la cattiveria che c'è dentro: diventerete due statue; ma
nondimeno serberete il lume della ragione sotto la vostra forma di pietra. Starete
alla porta del palazzo di vostra sorella; e non vi impongo altra pena che
quella di essere testimoni della sua felicità. Non potrete ritornare nello
stato primiero, se non quando riconoscerete i vostri errori: ma ho una gran
paura che dobbiate restare statue per sempre. Si può correggere l'orgoglio, le
bizze, la gola, la pigrizia; ma la conversione di un cuore invidioso e cattivo
è una specie di miracolo."
ADATTAMENTI
Dal
momento della sua pubblicazione nel 1756, la storia ha subito numerose
revisioni. È datata 1742 l'opera drammatica Amour pour amour di Nivelle
de la Chaussée, sempre ispirata a questa fiaba.
Nel 1756 la Contessa di
Genlis produsse un'opera teatrale basata sul racconto. In Francia, per esempio,
nel 1771 fu scritta da Marmontel e composta da Grétry la versione lirica de La
bella e la bestia, basata sulla storia di Mme Leprince de Beaumont e dal
titolo Zémire et Azor, che riscosse enorme successo anche
nell'Ottocento. Nel 1786 la versione
di Villeneuve fu pubblicata ne Le Cabinet des Fées et autres contes
merveilleux.
Durante il XIX secolo ci
fu una proliferazione di revisioni in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Sono
state contate fino a 68 diverse edizioni stampate in questo secolo. Tra le più
importanti ci furono un poema di Charles Lamb, pubblicato nel 1811, un'opera in
due atti di J.R Planchée, nel 1841 e, nel 1875, un libro di illustrazioni di
Walter Crane e un'edizione illustrata della fiaba ad opera di Eleanor Vere
Boyle.
VERSIONI
CINEMATOGRAFICHE
- Nel 1945 il
regista francese Jean Cocteau realizzò quella che viene considerata la
migliore versione cinematografica della storia: La belle et la bête,
con Jean Marais nei panni della bestia e Josette Day nei panni di Bella,
che qui si chiama Belle. Questo adattamento presenta anche una trama secondaria:
Avenant, un pretendente di Bella, vuole uccidere la bestia e rubare le sue
ricchezze, mentre le sorelle, sue complici, cercano di ritardare il
ritorno di Bella al castello. Quando Avenant entra nel padiglione magico,
che è la fonte del potere della bestia, viene raggiunto da una freccia di
fuoco scagliata dalla statua della dea romana Diana, che lo trasforma in
bestia e inverte la maledizione dell'altra creatura.
- Nel 1952 fu
creato un adattamento animato nell'allora Unione Sovietica, usando la tecnica
del rotoscopio, basato su una version di Sergei Aksakov, Il fiore
scarlatto. La storia è ambientata nel Medioevo slavo e i personaggi
parlano l'antica lingua russa (detta anche Vecchia Lingua Slava Orientale,
diretta discendente della lingua greco/bizantina), che si usava tra il X e
il XIV secolo.
- Una versione
del 1962, con Joyce Taylor e Mark Damon, vide la bestia come un principe
che di notte si trasformava in licantropo. Il trucco fu curato da Jack
Pierce e si basava sul suo disegno de L'uomo lupo, prodotto da
Universal Studios.
- Nel 1991
(vedi più sotto), la Disney produsse la propria versione animata de La
bella e la bestia. Vinse il premio Oscar per la migliore canzone
originale e il premio Oscar per la migliore colonna sonora, oltre a essere
il primo film d'animazione della storia nominato al premio Oscar per il
miglior film. Fu anche uno dei due film d'animazione a essere incluso
nella lista di AFI's 100 Years... 100 Passions, che comprende le 100 più
belle storie d'amore di tutti i tempi. Come nella versione del 1946, Bella
ha il nome di Belle nella versione originale inglese. Molte, tuttavia,
sono le variazioni rispetto alla storia originale. I servitori appaiono
sotto forma di oggetti personificati, perché la maledizione che ha colpito
la bestia si è estesa anche a loro. Vi è anche un elemento della fiaba di
Barbablù: a Belle viene proibito, all'inizio della sua permanenza nel
castello, di accedere a una certa stanza, ma disobbedisce vinta dalla
curiosità. Il padre di Bella, senza nome nella fiaba, si chiama Maurice e
fa l'inventore invece che il mercante, e Bella è la sua unica figlia. Vi è
anche un attraente ma arrogante e presuntuoso pretendente di Bella,
Gaston, che vuole sposare la fanciulla ma viene sempre rifiutato. Gaston
minaccia sia Maurice che la bestia, ma muore nel confronto finale con
quest'ultima. Questa versione concede la capacità di redenzione a Bella,
perfetta in sé stessa, che si dimostra capace di amare la bestia malgrado
la sua estrema bruttezza esteriore. Nonostante la storia originale sia
stata in gran misura alterata, come succede spesso nei film d'animazione
della Disney, La bella e la bestia è considerato uno dei suoi più
grandi classici. Il film della Disney ha avuto un tale successo che ne è
previsto un remake live-action per il 2017.
- Prodotta
dalla Golden Films, sulla scia del successo del film della Disney, nel
1992 uscì un'altra versione animata della fiaba. Con un'animazione
mediocre rispetto a quella della Disney, è indubbiamente più fedele alla
storia originale.
- Anche i film
di King Kong sono vagamente basati su questa fiaba. Nel film originale del
1933, il personaggio di Carl Denham, che parte alla ricerca del mostro
insieme all'attrice Ann Darrow, crede che l'apparizione di Ann insieme al
mostro nel suo film possa essere una reminiscenza del racconto. Quando la
creatura viene portata a New York e muore dopo aver passato gli ultimi
momenti con Ann, Denham declama, sia nella versione del 1933 che in quella
del 2005: "La bella ha ucciso la bestia".
- Anche altre
varianti della storia in cui una figura grottesca si innamora di una bella
donna sono state adattate spesso al cinema, come, per esempio, Il
fantasma dell'Opera, di Gaston Leroux, o Notre-Dame de Paris,
di Victor Hugo.
- Il film Wolfman
sembra avere qualche riferimento a La bella e la bestia; solo che,
al pari del film del 1962, il protagonista diventa una bestia (di preciso
un lupo mannaro) ogni notte di luna piena.
- Nel 2014
(vedi più sotto) esce una nuova trasposizione della fiaba. Il film è
francese ed è diretto da Christophe Gans.
(CONTINUA…)
Nessun commento:
Posta un commento