Ci sono vicende amministrative che, più di altre, interrogano la coscienza collettiva. Non tanto per il clamore che suscitano, quanto per ciò che rivelano: fragilità etiche, squilibri istituzionali, nodi irrisolti che non trovano spazio nelle versioni ufficiali o nelle cronache dei periodici locali. È il caso della singolare condizione in cui versa un assessorato del nostro Comune, affidato a una figura che oggi vive a centinaia di chilometri di distanza, ben oltre l’orizzonte quotidiano della comunità che dovrebbe amministrare.
Non occorre fare nomi; non è nemmeno l’obiettivo di questa riflessione. Basta ricordare il dato essenziale, e cioè che un membro dell’esecutivo comunale — già vicesindaco, ora assessore con deleghe che spaziano dalla manutenzione al decoro urbano, dal patrimonio alla protezione civile, dal verde pubblico ai rapporti con i Comuni gemellati — si è trasferito stabilmente in una cittadina situata a più di seicento chilometri da Crescentino. La distanza geografica non è di per sé una colpa, ma diventa un problema quando si trasforma in distanza amministrativa, politica, umana. Una distanza che, pur non emergendo in modo netto nella carta stampata, si avverte nella quotidianità del paese, nelle riunioni, nelle telefonate senza risposta, nelle decisioni demandate ad altri, nella percezione — sempre più diffusa — che qualcosa nel meccanismo della rappresentanza si sia incrinato.
È difficile, per chiunque conosca il funzionamento di un Comune, immaginare come si possa esercitare da remoto la delega alla manutenzione, che richiede sopralluoghi, verifiche, interazione continua con uffici tecnici e cittadini.
O come si possa coordinare la protezione civile, che fa della prontezza e della presenza sul territorio la sua stessa ragion d’essere.
Ancor più arduo è pensare di seguire il decoro urbano o il verde pubblico senza camminare tra le vie, osservare le criticità, parlare con chi vive quei luoghi ogni giorno.
O come si possa coordinare la protezione civile, che fa della prontezza e della presenza sul territorio la sua stessa ragion d’essere.
Ancor più arduo è pensare di seguire il decoro urbano o il verde pubblico senza camminare tra le vie, osservare le criticità, parlare con chi vive quei luoghi ogni giorno.
La realtà, al netto di ogni difesa istituzionale, è semplice: deleghe così radicate nella fisicità del territorio richiedono una figura sul territorio. Non possono essere espletate attraverso collegamenti streaming, apparizioni episodiche alle feste locali, presenze tanto rare da trasformarsi quasi in eventi miracolosi. Perché l’amministrare non è un gesto astratto: è un mestiere che si fa con i piedi per terra, con l’odore dell’asfalto dopo la pioggia, con le mani sporche di verbali e segnalazioni. È presenza, ascolto, fatica, relazione.
Sarebbe persino grottesco, se non fosse vero: un assessorato che funziona “a chilometri zero” grazie al lavoro continuo di altri membri della maggioranza, mentre chi ne detiene formalmente la titolarità vive oltre seicento chilometri più in là. C’è un'ironia sottile — e amara — nel pensare agli altri consiglieri che, con senso civico e dedizione, suppliscono quotidianamente, assumendosi responsabilità non loro e svolgendo mansioni che, nella logica della trasparenza amministrativa, spetterebbero ad altri. È un po’ come trovarsi in un ufficio dove una persona assente percepisce lo stipendio, mentre le responsabilità ricadono sui presenti. Con una differenza sostanziale: qui non si parla di un privato datore di lavoro, ma della comunità intera, che ha diritto a sapere, a capire, a vedere ripristinata una linea di equità. Se, come si dice, “chi sbaglia paga”, allora chi si assume il peso degli errori di chi non c’è?
Non si può ignorare il ruolo del Sindaco, che si trova stretto tra due esigenze opposte e ugualmente pressanti: 1) Mantenere la compattezza della maggioranza, evitando fratture interne che indebolirebbero la giunta.2) Rispondere ai cittadini, che chiedono chiarezza, presenza e amministratori che vivano il territorio e lo conoscano “dal basso”.
Il Sindaco non è responsabile delle scelte personali altrui, ma è responsabile delle deleghe che conferisce. E se un assessore, per cause di forza maggiore o per scelte individuali, non può più esercitare pienamente il proprio ruolo, allora è compito del primo cittadino garantire che la macchina amministrativa continui a funzionare con efficienza e trasparenza. D’altronde l’etica istituzionale non è un concetto astratto: è il fondamento della fiducia pubblica. E quando la fiducia si incrina, l’istituzione intera ne soffre.
La legge, si sa, permette molte cose. Permette di partecipare alle giunte anche da lontano. Permette di mantenere incarichi pur risiedendo altrove. Permette persino di presentarsi di rado, purché siano soddisfatti alcuni requisiti formali. Ma il punto non è ciò che si può fare. È ciò che si dovrebbe fare.
L’etica pubblica nasce precisamente in questo spazio: quello in cui la norma tace e la coscienza parla. E qui la coscienza, quella civile prima ancora che politica, suggerirebbe un passo indietro. Una scelta di trasparenza. Un gesto di responsabilità verso il paese che si è chiamati a servire, non a titolo simbolico, ma concreto. Eppure, ad oggi, non risulta alcuna lettera di dimissioni.
Piuttosto, si ha la sensazione che, come un agrume spremuto fino all’ultima goccia, si vogliano trattenere titolo e indennità il più a lungo possibile.
Piuttosto, si ha la sensazione che, come un agrume spremuto fino all’ultima goccia, si vogliano trattenere titolo e indennità il più a lungo possibile.
In tempi recenti si è molto parlato di “nuova politica digitale”, di smart working amministrativo, di presenza attraverso lo schermo. Ma uno streaming non sostituisce un sopralluogo; una comparsa una tantum in una festa non sostituisce settimane di assenza; un sorriso nella foto di rito non sostituisce il lavoro quotidiano che il paese richiede. A lungo andare, l’effetto è sempre lo stesso: ci si sente presi in giro. E quando un’intera comunità inizia a percepire questo sentimento, la frattura tra amministrazione e cittadini diventa difficile da colmare.
Specifico che ciò che scrivo non va interpretato come un attacco politico. È una considerazione civica che nasce dal buon senso: se un ruolo non può più essere svolto, la soluzione migliore è affidarlo a chi già, da tempo, e silenziosamente, ne sostiene il peso.
La nomina di un nuovo assessore non sarebbe un atto punitivo, ma un atto di giustizia amministrativa. Sarebbe un modo per restituire dignità al lavoro di chi, ogni giorno, supplisce senza pretendere visibilità. E sarebbe un modo per riconciliare la comunità con le proprie istituzioni. Perché ci sono momenti in cui il coraggio politico non consiste nel mantenere, ma nel cambiare. Nel riconoscere che la forma non può prevalere sulla sostanza. Nel ricordare che l’amministrazione è un servizio, non un titolo.
Questa riflessione, nata a margine dell’intervento dell’opposizione riportato da periodici locali, non vuole puntare il dito, ma aprire uno spazio di meditazione civile.
Viviamo un’epoca in cui le istituzioni devono riconquistare fiducia, e la fiducia si riconquista attraverso la vicinanza. Fisica, morale, amministrativa. Quando un assessore vive a seicento chilometri dal paese che dovrebbe rappresentare, la distanza non è solo geografica: è simbolica. È la misura di uno scollamento che rischia di consumare lentamente la credibilità dell’intero sistema. Ed è su questo — più che sui nomi — che vale la pena riflettere.
Viviamo un’epoca in cui le istituzioni devono riconquistare fiducia, e la fiducia si riconquista attraverso la vicinanza. Fisica, morale, amministrativa. Quando un assessore vive a seicento chilometri dal paese che dovrebbe rappresentare, la distanza non è solo geografica: è simbolica. È la misura di uno scollamento che rischia di consumare lentamente la credibilità dell’intero sistema. Ed è su questo — più che sui nomi — che vale la pena riflettere.
Goffredo di San Martino
Caro blogger, la credevo migliore, ma tant’è, c’è sempre occasione per ricredersi.
RispondiEliminaVero, non bisogna ragionare sui nomi ma sui fatti, però quando si fanno nomi e cognomi bisogna farlo con la faccia, non con un nick.
Fossi in Lifredi la querelerei
cominci lei a non fare l'anonimo...la querela? Il primo che dovrebbe querelare allora e' Sellaro che IN PUBBLICO e ON LINE mi pare abbia detto di peggio.......
RispondiEliminaMi sembra di tornare indietro di anni, quando un giovane lifredi era il punto di riferimento dell’amministrazione e suppliva nella sua energica quotidianità all’assenza, seppur presenti, di assessori, tra cui uno in particolare, non mi sembra che all’epoca qualcuno abbia fatto un passo indietro lasciando il posto, anzi si andò verso la scissione a fine mandato.
RispondiEliminaL’equilibrio di questa amministrazione Ferrero è stato precario fin da subito, dai giochini pre elettorali alle elezioni provinciali, una rivisitazione delle deleghe o la nomina di un nuovo assessore andrebbe a ridisegnare gli equilibri, equilibri e assessorati decisi dai pesi ponderati dai voti degli eletti.
Dovreste essere contenti di avere delle entità che si occupano di voi, siete voi che non riuscite a riparare le luci, lamentosi!
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