venerdì 17 ottobre 2025

GIUSEPPE ARLOTTA: CHI SI RICORDERA' DI ME - ( Un granello nel disegno del tempo )




 CHI SI RICORDERA’ DI ME - (Un granello nel disegno del tempo)

 
Chi si ricorderà di me quando non ci sarò più? È una domanda che si insinua lenta e insistente, come un filo d’acqua che scava la pietra. Con il passare degli anni, i pensieri che un tempo si affacciavano di rado diventano compagni costanti, quasi pressanti. È inevitabile: il tempo, che all’inizio appare infinito, si accorcia, e il suo restringersi ci costringe a guardare con occhi diversi tanto al futuro quanto al passato.
 
Così mi accorgo che io stesso non so quasi nulla di chi mi ha preceduto. Dei miei bisnonni, per esempio, non conosco neppure i lineamenti. Ignoro se fossero persone generose o diffidenti, se abbiano amato davvero o abbiano vissuto solo di convenzioni, se fossero uomini e donne coraggiosi o se invece abbiano ceduto alle viltà comuni della vita quotidiana. Forse erano umili lavoratori, forse avevano sogni che non si sono mai avverati, forse hanno sofferto in silenzio. Fatto sta che il loro ricordo, almeno per me, si è dissolto e con esso, in parte, anche la loro esistenza.
 
E allora, come potrei illudermi che io stesso sia destinato a sorte diversa? Al di là della cerchia ristretta dei miei cari, di coloro che condividono i miei stessi giorni, io sarò dimenticato. Non sono stato un letterato, non un artista, non uno scienziato, non ho lasciato un’opera che possa attraversare i secoli. Appartengo – e apparterrò – a quella moltitudine anonima che costituisce la trama stessa dell’umanità: milioni e milioni di vite consumate, che si sono accese e spente senza lasciare altro segno se non la continuità della specie. Eppure, è proprio a quell’umanità sommersa, a quel tessuto invisibile di presenze dimenticate, che dobbiamo tutto: la nostra lingua, i nostri gesti quotidiani, la sopravvivenza stessa della nostra fragile civiltà.
 
Si dice spesso che condurre una “buona vita” possa essere sufficiente. Che basti amare, lavorare con onestà, crescere i figli, fare la propria parte, anche se in piccolo. È vero, e in un certo senso è consolante. Ma davvero è sufficiente? È davvero tutto ciò che possiamo sperare – una vita corretta, dignitosa, che si dissolve senza lasciare traccia? O vi è in noi, più nascosto, un bisogno più profondo: quello di essere ricordati, di lasciare almeno una traccia nella memoria altrui, un’eco che sopravviva oltre la nostra scomparsa?
 
Forse, però, il desiderio di essere ricordati non trova compimento soltanto negli affetti più prossimi o nel ricordo di chi ci ha amato. Anche senza volerlo, ciascuno di noi lascia una traccia che si propaga oltre i confini del proprio cerchio intimo.
 
Col tempo, ogni individuo imprime un segno — spesso impercettibile ma reale — anche nella vita di coloro che ha solo sfiorato o che gli si sono posti di fronte. Persino gli avversari, gli ostili, i detrattori, custodiranno frammenti di chi hanno combattuto: l’eco di una parola sferzante, di un gesto ironico, di un pensiero condiviso. Tutto ciò penetra nell’esperienza altrui e, magari a loro insaputa, contribuisce a formarla.
È questa la consapevolezza che si raggiunge con la maturità: persino il “nemico” tramanda, in un angolo remoto del proprio lascito personale e culturale, una parte di noi. Così la memoria si diffonde in forme sottili, sfuggendo alla volontà dei protagonisti, e nessuno può dirsi davvero estraneo al lascito dell’altro.
 
La memoria, infatti, non è soltanto una facoltà individuale, ma un reticolo profondo che attraversa i secoli: una corrente invisibile in cui si depositano e si rimescolano pensieri, emozioni, traumi e intuizioni. Ogni incontro, anche quello più effimero o ostile, lascia un influsso che si propaga e si sedimenta, riaffiorando talvolta in forme nuove nei discendenti, nei posteri, nei figli inconsapevoli di uno scontro mai vissuto in prima persona.
È questa la sostanza di ciò che potremmo chiamare “memoria ereditaria”: un bagaglio invisibile di esperienze, scelte e impressioni che, nel lungo processo dell’umanità, diventa parte della struttura profonda dell’essere.
 
In realtà, ho maturato la convinzione che, la memoria non è mai questione di nomi, ma di eredità invisibili. Se io non ricordo i miei bisnonni, porto però dentro di me – senza saperlo – qualcosa di loro: un tratto del carattere, un’inclinazione, un riflesso nello sguardo. Come essi vivono inconsapevolmente in me, così io vivrò in chi verrà dopo, anche senza essere nominato. Non come figura distinta, non come storia compiuta, ma come parte di un flusso ininterrotto.
È una forma diversa di immortalità: più umile, certo, ma forse più vera. Un’esistenza che si tramanda non per merito, ma per continuità; non per fama, ma per trasmissione silenziosa.
 
Eppure, il pensiero non si placa. La buona vita, l’onestà quotidiana, la piccola eredità genetica e affettiva: tutto questo è importante, ma non basta a dissolvere l’ombra della dimenticanza. Perché, in fondo, ciò che più temiamo non è la morte, ma l’essere cancellati; non la fine del respiro, ma l’idea che, un giorno, nessuno pronuncerà più il nostro nome.
 
Ed è magari proprio da questa consapevolezza che nasce il bisogno di comunicare, di testimoniare, di raccontarsi. Non per vanità, ma per lasciare un segno – anche minimo – nel fragile archivio della memoria umana. Un segno che dica:”Sono stato qui,ho pensato, ho amato, ho vissuto.
Non un monumento, non un’opera immortale: soltanto una traccia che resista, almeno per un poco, all’oblio.
 
Così, probabilmente, il vero compito di ciascuno non è quello di aspirare ai ricordi altrui, ma di custodire e trasmettere ciò che si è ricevuto. Di vivere bene, certo, ma anche di affidare agli altri – con le parole, con i gesti, con la semplice presenza – una piccola parte di sé.
Perché se è vero che tutto scivola nel silenzio, è altrettanto vero che ogni vita, anche la più dimenticata, contribuisce a costruire quel misterioso edificio che chiamiamo umanità. E allora sì, sarò dimenticato. Ma non completamente. Sarò stato, come tutti, un granello in un disegno più grande: invisibile, ma indispensabile.
 
Giuseppe Arlotta
 
14 ottobre 2025

3 commenti:

  1. quando mi guardo attorno mi dico: tutto quello che vedo è frutto di chi non c'è più. Nel bene e nel male. Non ricordo tutti, non conosco chi ha fatto la storia. Guardo e dico: siamo così perchè siamo il frutto del bene e del male che gli uomini hanno fatto e fanno, facciamo ogni giorno tutti quanti. Il ricordo di tutti sta in quello che oggi siamo, come persone, società, umanità. Facciamo, dunque, incidiamo sulla vita. Non importa chi l'ha fatto, ma che sia stato fatto un passo avanti nel tempo in cui anche noi abbiamo avuto l'occasione di fare e incidere.

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  2. Caro Arlotta, scendendo da questa sua torre eburnea, da cittadino comune può dare un suo pensiero a questo semplice problema del lampione del Monte, lei cosa suggerisce a questi lamentosi abitanti.Grazie, saluti.
    Giovanna B.

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    1. non e' compito di Giuseppe Arlotta risolvere quel problema, non e' piu' un amministratore, ma penso di vedere in intento ironico nel commento

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