Un viaggio struggente, per storie e canzoni, sulle migrazioni
umane. Un piccolo e intensissimo libro piú potente di mille
chiacchiere.
«Ciao socio, compare, fratello che non mi è capitato in famiglia
e che ho cercato intorno, grazie di accomunarmi al libro della
tua vita. Hai messo insieme pezzi del tuo tempo senza ricavarne
un’autobiografia, perché non riesci a dire di te senza gli altri.
Ti scansi dal centro, lasci il tuo capitolo all’ospite di turno.
La
tua diventa una multibiografia di persone e di luoghi, dove
sei anche tu. Leggo la tua vita numerosa di altri, la tua scrittura
a maglia di catena che li tiene insieme». -
dalla prefazione di Erri De Luca
Babasunde, che ha perso il suo nome.
E quella ragazza intirizzita che cammina
verso la stazione.
Rrock Jakaj, violinista di Scutari.
Jean-Claude Izzo, commosso dall’ascolto di
una canzone di Murolo.
E poi Tinochika detto Tino, che si è aggrappato
con tutto se stesso allo sguardo di
una donna.
Gianmaria Testa ritorna – questa volta non
nelle vesti di cantautore ma di scrittore –
sul tema delle migrazioni contemporanee.
E lo fa senza retorica e con il solo sguardo
sensato: raccontando storie di uomini con
una lingua poetica e tagliente, insieme burbera
ed emozionata.
A dieci anni dall’uscita del disco Da questa
parte del mare, che ha ricevuto la Targa Tenco
nel 2007 come migliore album dell’anno,
quelle canzoni così vive e attuali generano
qualcosa di nuovo: un altro tipo di scrittura
e di voce.
«Ho l’impressione che nei confronti del
fenomeno delle migrazioni abbiamo avuto
uno sguardo povero e impaurito che ha fatto
emergere la parte meno nobile di noi tutti,
– scrive. – Bisogna avere occhi, cervello
e coraggio da spendere».
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