venerdì 27 marzo 2015

40 ANNI FA..IL PRIMO FANTOZZI NELLE SALE ITALIANE I

« Per me... la corazzata Kotiomkin... È UNA CAGATA PAZZESCA! » (Ugo Fantozzi. Alla frase seguono novantadue minuti di applausi, come dice Villaggio narratore) -  Villaggio e i 40 anni di Fantozzi: "Ha liberato tutti dalla sensazione di essere i soli sfigati. Gli s. pettatori si dono identificati asubito nel suo personaggio"

Nel 1975 usciva il film sul Ragioniere più famoso d’Italia, Villaggio: “La cosa più nuova era il linguaggio. Fantozzi parlava in un italiano che ne esprimeva la condizione esistenziale, una specie di sintesi di ignoranza endemica. Fellini mi disse: "Hai ampliato e modificato la lingua italiana” -L’Italia di oggi? Un Paese brutto, triste, dove si parla solo di calcio e di donne"...
BY D'ANGELO

Fulvia Caprara per “la Stampa”
L’anniversario non gli piace affatto.

Anzi, ne farebbe felicemente a meno: «Lo vivo come un anticipo dei funerali, mi fa piacere essere ricordato, però, a 82 anni e mezzo, non posso scacciare la sgradevole sensazione di sapere che non potrò più fare né film né serate». E poi c’è l’avvicinarsi di quella «scadenza fastidiosa... il Padreterno non ha pensato alla paura della morte, cioè al momento in cui ci verrà tolta la cosa più bella che ci ha dato».

Eppure, avvolto in una tunica bianca, nell’appartamento luminoso di Roma Nord dove continua a ricevere telefonate e inviti, Paolo Villaggio ha tutto tranne l’aria dell’anziano gravato dai rimpianti. La zampata è ancora feroce, lo sguardo sull’Italia lucido e impietoso.

Quarant’anni fa, il 27 marzo, arrivava nelle sale il primo Fantozzi, diretto da Luciano Salce. Da allora per lei è cambiato tutto.
«Sì, sono diventato un box-office vivente. Il film uscì dopo Pasqua e rimase in cartellone fino al Natale seguente... ne ho fatti 10, i primi 3 erano portentosi, la cosa più nuova era il linguaggio, completamente diverso da quello dei comici e degli imitatori che imperversavano all’epoca. Fantozzi e Filini non parlavano in dialetto, ma in un italiano che ne esprimeva la condizione esistenziale, una specie di sintesi di ignoranza endemica... me lo diceva anche Fellini, “Paolino, tu hai ampliato e modificato la lingua italiana”».

Il mondo di Fantozzi ha generato aggettivi, avverbi, modi di dire.
«È vero, e questo mi fa pensare che, alla fine, qualcosa di me rimarrà. Gli altri muoiono definitivamente, io forse no».

Perché il pubblico amò subito, e così tanto, Fantozzi?
«All’inizio la gente rideva e basta, ma si sentiva anche aggredita, poi subentrò la gratitudine. Fantozzi è un “subitore” perfetto, ha liberato tutti dalla spiacevole sensazione di sentirsi unici nel proprio essere sfigati. Era come una seduta terapeutica, gli spettatori seguivano le sue avventure e pensavano “forse è vero, siamo tutti così”».
 
Ma lei un successo così enorme se lo sarebbe mai aspettato?
«No, vivevo in una specie di trance, non mi rendevo conto, sapevo solo che, quando avevamo cominciato, sia io che De Andrè, eravamo certi che nella vita non ce l’avremmo fatta».
 
Perché Fantozzi piace ancora oggi?
«I film continuano ad andare in onda in tv, Fantozzi esprime malessere, disagio, e quindi è adatto anche ai giovani di adesso, spaventati da quel nulla che vedono nel loro futuro».

Però Fantozzi aveva il posto fisso. Una condizione che oggi sembra fantascienza.
«... Ma che non serviva a migliorare le cose. I capi facevano parte di una cricca, gli impiegati, nella pausa caffè, beccavano l’applauso quando dichiaravano “sono 3 anni che non prendo in mano una pratica”. Venivano considerati guru del non far niente, il loro era un lavoro stupido e ripetitivo, guadagnavano poco, così farsi assumere in un’azienda e poi fare nulla dalla mattina alla sera diventava un atto eroico». 
 
E se a un Fantozzi di oggi offrissero una tangente?
«Qualunque Fantozzi l’afferrerebbe mugolando di piacere, l’Italia è diventato un Paese brutto, triste, dove si parla solo di calcio e di donne. Se si va a una cena dell’upper class romana gli argomenti trattati sono questi. Prima l’orrore per l’aereo caduto, poi di chi è la colpa, poi il cordoglio, in cui tutti sono bravissimi, soprattutto se notabili e indagati... infine, divisi in due gruppi, gli uomini si mettono a discutere di calcio e le donne rispondono con i telefonini ai cinguettii degli amanti».

Una volta ha deciso di darsi alla politica.
«Sì, una sola volta, mi aveva convinto un mio amico, uno a sinistra del Pci cinese... mi sono candidato con Democrazia Proletaria, sono stato eletto, ma poi seppi che avevano messo le crocette sul loro capolista che invece non era stato votato, sono stati dei poveretti...».
 
Come spiega il successo di Beppe Grillo?
«Succede quando si comincia a parlare male dei politici, ma continuare a ripetere che sono disonesti è insopportabile, come continuare a dire che in Italia si mangia e si vive bene».
 
Che cos’altro non le piace del nostro Paese?
«Il fatto che abbiamo preso dall’America la mania dei numeri, il fatto che non ci si dica più “come va?” ma “quanto guadagni?”. I soldi sono l’unico tipo di felicità noto alla cultura europea. L’Italia, oggi, è un Paese povero e noioso».
 
Noioso. Come la «Corazzata Potemkin»?
«Quella era la punizione più severa che sia stata mai immaginata, ma ci sono tante altre cose noiose. Per esempio anche Leopardi è una terribile rottura, come Manzoni, che abbiamo studiato tutti a bastonate, come “i cipressi che a Bolgheri”... quando sono caduti nessuno ne ha parlato, erano diventati noiosi anche loro».
 
Una cosa che a Fantozzi non è ancora successa.
«No, adesso è diventato importante, piace agli snob, ma l’obiettivo è che diventi noioso. La mia speranza è che, tra altri 40 anni, tutti dicano basta, Fantozzi ci hai rotto le scatole».
 
C’è stato un momento in cui lo ha odiato?
«No, perché oltre a quei film, ho fatto tante altre cose, ho lavorato con Fellini, Olmi, Strehler, Wertmüller... pc erò, sinceramente, quando ho girato l’ultimo della serie mi sono sentito come liberato da un incubo»

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