venerdì 12 settembre 2025

LA FRANA DI VERRUA DEL SETTEMBRE 1957 E LA STORIA DELLA FAMIGLIA ORESTELLI , CURA DI UGO VITTONE E GRAZIANA ORESTELLI








 



CARI LETTORI  VI PROPONGO UNO SCRITTO DI UGO VITTONE IN COLLABORAZIONE CON GRAZIANA ORESTELLI.

SI PARLA DELLA TERRIBILE FRANA DELLA ROCCA DI VERRUA DEL SETTEMBRE 1957  CHE TOLSE LA VITA A 6 PERSONE.

LA FAMIGLIA ORESTELLI FU DECIMATA,  GRAZIANA HA VOLUTO COLLABORARE CON VITTONE PERCHE' LA MEMORIA DI QUESTA TRAGEDIA SIA TRAMANDATA .

VITTONE E ORESTELLI HANNO IN QUESTO SCRITTO RACCONTATO L'AFFASCINANTE STORIA  DI ORESTE, NONNO DI GRAZIANA  CHE TROVO' LA MORTE SOTTO LA FRANA.

LO SCRITTO E' ANCHE PUBBLICATO SULLA PAGINA FACEBOOK  " COMPRENSORIO  CRESCENTINO VERRUA " DOVE TROVERETE ALTRE BELLISSIME FOTOGRAFIE


Settembre 1957


Coloro che si accingono ad imboccare il ponte da Verrua verso Crescentino,

normalmente non badano al “memorial”, lì, sulla destra, se qualcuno lo nota lo

attribuisce a qualche fatto associato alla guerra di liberazione, invece è il cippo in

ricordo delle vittime della frana del 5 settembre 57.

Per chi non lo sapesse un pezzo della collina franò, travolse una casa, provocando sei

morti, e la distruzione di parte del ponte.

“L’ignoranza “del fatto, e correlata indifferenza è anche dovuta ad un processo di

rimozione della memoria, non so se per ignavia o dalla “ragion di Stato”, casereccia.

Quello che si voleva dire sulla frana è stato già ampiamente detto, quello che ci

sarebbe da dire, non lo si dirà mai.

Io personalmente “perdono” le conclusioni del tempo: nessun colpevole, risarcimento

irrisorio, si era nel primo dopoguerra, tutti, sia chi era stato in guerra, sia chi era stato

a casa, aveva “inciampato” in morti, quindi la sensibilità individuale, appunto, di

fronte alla morte, si era affievolita, sono meno indulgente sui comportamenti che

hanno avuto le istituzioni, nei tempi successivi.

Come detto-scusate il bisticcio letterale, tutto è stato detto, io vorrei trattare un

aspetto che normalmente i giornalisti ed i commentatori non trattano mai, giacché

poco attrattivo al lettore, la parte umana delle vicende.

Nel caso specifico, l’assurdo disegno divino, per un credente o per un tragico destino,

per un ateo, che ha sconvolto la famiglia Orestelli, che ha visto la morte dei coniugi

Oreste e Brigida, della loro nuora Pia, del nipote Mauro, miracolosamente si è salvato

il nipote Ezio, e per un caso il figlio Giovanni.

Persone che hanno avuto vite rocambolesche, e poi hanno trovato la morte, in quella

che per definizione dovrebbe essere il posto più sicuro, la casa di abitazione.

Ai discendenti, e questo fa loro onore, va riconosciuto il merito per aver mantenuto

vivo, principalmente in sé stessi-per la comunità è stato oblio-il ricordo della

tragedia, aspetto che si rileva tangibilmente per aver custodito con cura i documenti,

salvati “miracolosamente” che riguardavano i loro cari, periti.

Noi leoni da tastiera, annoiati, “gironzoliamo” su internet, e magari tra le varie

interrogazioni, le più assurde, chiediamo, quanti nel nostro paese hanno lo stesso

cognome.

Normalmente la risposta va da qualche decina a qualche migliaio, al cognome

Orestelli, poche unità, i discendenti di Oreste.

Perché?


Oreste Orestelli, una delle vittime, era figlio di N.N., come veniva scritto in

“buratichese”, sui documenti di identità quando i genitori non riconoscevano il

bambino, che aveva comunque diritto ad un nome e cognome, ed allora la bizzarria

degli ufficiali di stato civile si sbizzarriva, dai richiami religiosi, Diotisalvi; a quello

tipico napoletano, Esposito; a quello di città, Palermo, ecc.

Nel caso descritto, l’impiegato comunale, che non brillava di fantasia, coniò il

cognome Orestelli, derivandolo da Oreste, quello con cui il bimbo era stato battezzato

Questi, arrivò nelle nostre campagne, da Torino, con una forma assimilabile

all’attuale affidamento, presso una famiglia di contadini.

Spesso, chi si prestava a queste “operazioni” erano famiglie povere, magari cariche di

figli, che col sussidio statale, campavano tutti.

L’istituzione pubblica, “piazzato” l’infante, affinché non morisse di fame e stenti, se

ne dimenticava, le assistenti sociali, ovviamente non esistevano, ed i piccoli

dovevano il loro destino, più o meno benigno, alle famiglie di accoglienza.

Oreste, anche in questo, non ebbe fortuna, la famiglia assegnataria lo trattava male e

gli aveva impedito di andare a scuola, tanto da nascondergli le scarpe

Lui, non si dette per vinto, creò delle calzature con degli stracci, quale surrogato di

calzature appropriate per camminare su, fino in paese per andare a scuola!

IL destino di questi famigli o, garzoni, ai quali si garantiva solo un magro vitto e un

giaciglio, era comune, potrei citare numerosi bambini, messi a garzone, con età

inferiore ai dieci anni, trattati alla stregua del cane di casa. Magari fossero stati trattati

come i cani di oggi

Ancora ragazzo, abbandonò questa famiglia, è un peccato che non si sia riusciti ad

identificarla, ed emigrò in Francia, di questo periodo si conosce poco, ma dopo un

certo tempo tornò in Italia.

Durante questo soggiorno, probabilmente, curò un amore infantile o ad un ballo

paesano, o ad un incontro sulla via del vespro, all’epoca le ragazze andavano a

funzione domenicale pomeridiana, per farsi rimorchiare, come si direbbe oggi,

conobbe o rafforzò la conoscenza con una ragazza delle Cascine, il secondo

personaggio, di questo “tragico romanzo verruese”, al secolo Ferrero Angela,

inspiegabilmente chiamata Brigida, di Lazzare Maria, cognome non comune nei

nostri territori e di Giovanni, fratello di un altro personaggio verruese, Il Cecu dal

muntagne.

Soprannome che pare derivasse da una voce così tonante, da risuonare da una

montagna all’altre. Fu intervistato da Soldati, negli anni 60, per uno sceneggiato sul

Po, era un provetto pescatore. Ai tempi certe zone di Verrua, avevano un rapporto

simbiotico col fiume.


La donna, d’ora in poi la chiameremo, non per dileggio, ma perché così era

conosciuta La Brigida.

Quell’articolo “La” apposto così in modo naturale dalla parlata locale implicitamente

attestava non una generica persona, ma quella persona che identificava un qualcosa

nella fattispecie una locanda, La Trattoria dei pescatori, un modo di essere e di

comportarsi.

Come vedremo meglio in seguito La Brigida-mi si passino espressioni popolane e

scurrili-era una donna di fegato e quando qualche avventore-all’epoca succedeva

spesso- alzava il gomito e diventava fastidioso, lo prendeva per la pelle del culo e lo

scaraventava in mezzo alla strada.

Torniamo ad Oreste e ovviamente dobbiamo interpolare, usando una espressione

geometrica, lo sviluppo delle vicende di queste due persone, perché, usando ancora la

metafora, abbiamo solo dei punti, cioè dei fatti specifici, mancando il collegamento

tra di essi.

Oreste emigra in America, negli Stati Uniti, parte da Liverpool (traversata sulla Nave

Queen Victoria) e dopo un breve soggiorno a New York si sposta in Pennsylvania, a

Star Junction dove inizia a fare il minatore; Oreste è un uomo intraprendente, crea

una sua squadra di operai, tra i quali molte persone di colore, ed inizia quello che era

l’obiettivo di ogni emigrante, come si diceva ai tempi, far fortuna.

Finalmente il vento della fortuna soffia a suo favore, lo raggiunge Brigida in una

traversata con la nave che all’epoca durava mesi; si sposano, come si suol dire,

mettono su casa.


Siamo negli anni venti, in America vige il cosiddetto proibizionismo, che limitava

produzione, commercio e consumo di bevande alcoliche.

Come succede anche oggi, quando un qualcosa è proibito, si sviluppano azioni per

aggirare quanto non permesso.

Se Oreste è intraprendente, la moglie non è da meno, tanto che mentre il marito scava

nelle viscere o fa scavare nelle viscere delle montagne, lei impianta una piccola

distilleria clandestina di alcool.

L’illegalità chiama illegalità, tanto che una notte, alcuni lavoranti di Oreste, si

intrufolano nella distilleria, asportano damigiane caricandole su un camioncino,

Brigida se ne accorge ed avvisa il marito che, evidentemente non nuovo a tali

comportamenti, insegue i ladri e come si usava al tempo, decide di “regolare i conti

direttamente”; questo fatto pare provocare una sorta di maledizione (ricordiamo che i


lavoranti erano di colore e professavano riti a noi inusuali) sull’uomo e la sua

famiglia.

Prego il lettore di memorizzare il punto connesso alla maledizione.

Il fatto, sul piano “legale”, non ha strascichi, in quelle situazioni un “incidente” in un

frangente criminoso, per giunta, trattandosi di neri, non “disturbava” le istituzioni.

Nel frattempo è nata Mary; il figlio maschio, Giovanni, anche lui tragicamente

coinvolto nella vicenda “frana “, invece nascerà in Italia.

Non si sa, se per l’evento citato o per altro, Oreste vorrebbe spostarsi in California,

verosimilmente più attrattiva, la moglie che non aveva ancora interiorizzato la

passione per il nuovo paese, non condivide e pertanto decidono di rientrare in Italia,

decisione non così cara al marito, che ormai si sentiva a tutti gli effetti cittadino

americano e ne aveva acquisito la cittadinanza, condizione da sempre da tutti

auspicata.

Come avere sul capo una forma di assicurazione, potremmo dire meccanismo

psicologico derivato da un ombrello istituzionale,

La potenza vera di questo paese: trasformare esuli, senzapatria, fuggitivi, in cittadini

degli Stati Uniti di America, aspetto, per presa visione personale, tutt’ora esistente.

Rientrano in Italia, benestanti, acquistano un’ampia area di terreno dai Marchesi di

Invrea, proprietari del complesso, la proprietà acquistata si estende fino alle prime

arcate del ponte, costruiscono la casa, appunto sotto la rocca, bella posizione

“commerciale”, rivendita, trattoria, gioco delle bocce, ecc.

Un investimento di trecentomila lire, rilevante per quei tempi, è nata la Trattoria dei

cacciatori.

Anche una sorta di “punto daziario”.

Mi racconta mio cugino Natalino, oggi 94 enne, che la mamma andava a vendere

lepri a Crescentino, era in una famiglia di provetti cacciatori, ai tempi la caccia era

anche per sopravvivenza e per integrare il reddito, e doveva passare dalla Brigida a

farsi mettere il “bollino”.

Ma? Burocrazia del tempo.

Il buon vento continua a favorire la famiglia Orestelli.

Oreste è ormai tranquillo nella sua posizione umana e sociale, ha una moglie, due

figli, un avviato commercio ed una solida situazione patrimoniale inoltre dagli Stati

Uniti riceve, per l’effetto cambio, una cospicua pensione, sente, a quel punto, il

bisogno profondo di sapere chi erano i suoi genitori.


Attraverso investigazioni, avvocati, ecc., riesce a risalire ad essi, il padre è il

rampollo di una nobile famiglia genovese con possedimenti in zona, la madre una

nobile torinese.

Il riconoscimento di paternità non può avvenire per l’opposizione dei discendenti,

preoccupati per gli effetti ereditari, ma Oreste non voleva subentrare nell’asse

ereditario per venalità, ma solo per un ovvio desiderio di appagare un naturale

desiderio.

Diceva: “non mi interessavano i loro soldi, io i soldi li ho fatti con le mie mani”

Abbiamo fatto il giro del mondo, è trascorso mezzo secolo, torniamo alla Trattoria

dei cacciatori, alla frazione Rocca, il nome dice già tutto, morfologicamente una

rocca.

È mattino presto, Giovanni, figlio di Oreste si è già alzato è andato a caricare ghiaia,

suo mestiere, la giovane moglie Pia dorme nel letto col bimbo Mauro, di quaranta

giorni, nell’altra stanza dormono i vecchi coniugi, con il nipote Ezio, di otto anni,

figlio di Mary, che ha voluto dormire dai nonni per la novità dell’arrivo del cuginetto.

Vedendo le foto, chiunque avrebbe compreso che quello che è accaduto, non poteva

non accadere.

Giovanni si era reso conto del rischio, aveva fatto un esposto, era venuto un

ingegnere, esperto, nessun pericolo o rischio lieve.

Una settimana dopo, tutto travolto, gli Orestelli che erano in casa tutti morti, Ezio

vivo miracolosamente.

La maledizione del lavorante ladro aveva prodotto i suoi effetti?

Ma?

Ricostruiamo gli sviluppi.

Come detto i coniugi Orestelli, ebbero due figli Mary e Giovanni.

Le “disgrazie” occorse a Giovanni le abbiamo descritte e, invece, cosa accadde a

Mary?

Mary sposò Mezzano Corrado, uomo prestante ma debilitato fisicamente per gli

effetti della guerra, imbarcato su una nave militare, si ammalò gravemente, tanto da

essere catalogato come grande invalido di guerra.

Fu sindaco per un ventennio a Verrua, carismatico, autorevole con lungimiranti

visioni, si deve a lui il piano regolatore, tra i primi del territorio che ne ha fissato le

linee di sviluppo.

Gli si deve riconoscere la realizzazione di infrastrutture e la cura esperta del

patrimonio comunale.


Il suo operato ed in particolare il suo modo di gestire, verso la seconda parte del

mandato, giustamente o ingiustamente, sedimentò nella cittadinanza una valutazione

discutibile.

L’uomo, mancò relativamente giovane, la moglie Mary ed il figlio Ezio, privati di

una presenza così forte, marito e padre, usiamo un eufemismo, “si persero.”

La maledizione aveva completato la sua missione, quasi tutta la famiglia Orestelli, in

un modo o nell’altro debellata, si era salvato solo Giovanni, che dopo un periodo di

disorientamento-comprensibile-aveva ripreso in mano le redini della sua vita,

ricreandosi una nuova famiglia.

L’incendio in una foresta, distrugge quanto è in superficie, ma spesso non i semi o le

radici, così di virgulti Orestelli ne sono rinati, ed oltre agli aspetti biologici hanno

incamerato nei loro geni, l’imperativo di non far dimenticare la tragedia della frana

della fortezza di Verrua, che ha cosi gravemente leso la loro famiglia.

Devo a loro, in particolare a Graziana, conosciuta come Grace, per il suo amore per

l’Inghilterra dove da giovane, così come fece il nonno Oreste da cui ha ereditato un

animo curioso e la voglia di scoprire nuovi fronti, si trasferì per alcuni anni per

studiare la lingua e meglio conoscere la cultura usi e costumi del posto, la messe di

informazioni che hanno consentito la stesura di questo testo, scritto all’insegna

dell’imperativo che c’è in me, vecchio verruese, affinché non tutto vada perduto.

UGO VITTONE

GRAZIANA ORESTELLI

4 commenti:

  1. Grazie per aver diffuso lo scritto in ricordo della famiglia Orestelli

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  2. .... meno indulgente sul comportamento delle istituzioni negli anni successivi....: È appena il caso di ricordare che chi è stato sindaco nei successivi 18 anni era il genero della famiglia distrutta.

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    1. Nello scritto i giudizi sulla sindacatura sono in chiaro scuro, leggere bene il testo ; dopo tanti anni evitiamo polemiche inutili, chi vive tra Verrua e Crescentino e ha una certa età, come me anche, sa cio' che e' avvenuto, mio padre fu testimone oculare della frana e mi ha raccontato tantissime volte il fatto e già nei primi primi anni delle elementari mi porto' a vedere il piccolo monumento a memoria delle vittime.
      le foto pubblicate parlano chiaro e sono state pubblicate apposta.

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  3. Il primo piano regolatore di Verrua Savoia è stato sviluppato assieme ad altri 5 comuni della collina ( Brozolo, Cavagnolo, Brusasco, Monteu, Lauriano) redatto da un noto ingegnere di Crescentino, iniziato nel 1978 ed approvato nel 1982. Nulla a che vedere con il sindaco Mezzano.

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