domenica 7 dicembre 2025

CRESCENTINO...VISTA DA LONTANO: L'ASSESSORE PENDOLARE - IL CASO LIFREDI



 

 

 
Ci sono vicende amministrative che, più di altre, interrogano la coscienza collettiva. Non tanto per il clamore che suscitano, quanto per ciò che rivelano: fragilità etiche, squilibri istituzionali, nodi irrisolti che non trovano spazio nelle versioni ufficiali o nelle cronache dei periodici locali. È il caso della singolare condizione in cui versa un assessorato del nostro Comune, affidato a una figura che oggi vive a centinaia di chilometri di distanza, ben oltre l’orizzonte quotidiano della comunità che dovrebbe amministrare.
 
Non occorre fare nomi; non è nemmeno l’obiettivo di questa riflessione. Basta ricordare il dato essenziale, e cioè che un membro dell’esecutivo comunale — già vicesindaco, ora assessore con deleghe che spaziano dalla manutenzione al decoro urbano, dal patrimonio alla protezione civile, dal verde pubblico ai rapporti con i Comuni gemellati — si è trasferito stabilmente in una cittadina situata a più di seicento chilometri da Crescentino. La distanza geografica non è di per sé una colpa, ma diventa un problema quando si trasforma in distanza amministrativa, politica, umana. Una distanza che, pur non emergendo in modo netto nella carta stampata, si avverte nella quotidianità del paese, nelle riunioni, nelle telefonate senza risposta, nelle decisioni demandate ad altri, nella percezione — sempre più diffusa — che qualcosa nel meccanismo della rappresentanza si sia incrinato.
 
È difficile, per chiunque conosca il funzionamento di un Comune, immaginare come si possa esercitare da remoto la delega alla manutenzione, che richiede sopralluoghi, verifiche, interazione continua con uffici tecnici e cittadini.
O come si possa coordinare la protezione civile, che fa della prontezza e della presenza sul territorio la sua stessa ragion d’essere.
Ancor più arduo è pensare di seguire il decoro urbano o il verde pubblico senza camminare tra le vie, osservare le criticità, parlare con chi vive quei luoghi ogni giorno.
 
La realtà, al netto di ogni difesa istituzionale, è semplice: deleghe così radicate nella fisicità del territorio richiedono una figura sul territorio. Non possono essere espletate attraverso collegamenti streaming, apparizioni episodiche alle feste locali, presenze tanto rare da trasformarsi quasi in eventi miracolosi. Perché l’amministrare non è un gesto astratto: è un mestiere che si fa con i piedi per terra, con l’odore dell’asfalto dopo la pioggia, con le mani sporche di verbali e segnalazioni. È presenza, ascolto, fatica, relazione.
 
Sarebbe persino grottesco, se non fosse vero: un assessorato che funziona “a chilometri zero” grazie al lavoro continuo di altri membri della maggioranza, mentre chi ne detiene formalmente la titolarità vive oltre seicento chilometri più in là. C’è un'ironia sottile — e amara — nel pensare agli altri consiglieri che, con senso civico e dedizione, suppliscono quotidianamente, assumendosi responsabilità non loro e svolgendo mansioni che, nella logica della trasparenza amministrativa, spetterebbero ad altri. È un po’ come trovarsi in un ufficio dove una persona assente percepisce lo stipendio, mentre le responsabilità ricadono sui presenti. Con una differenza sostanziale: qui non si parla di un privato datore di lavoro, ma della comunità intera, che ha diritto a sapere, a capire, a vedere ripristinata una linea di equità. Se, come si dice, “chi sbaglia paga”, allora chi si assume il peso degli errori di chi non c’è?
 
Non si può ignorare il ruolo del Sindaco, che si trova stretto tra due esigenze opposte e ugualmente pressanti: 1) Mantenere la compattezza della maggioranza, evitando fratture interne che indebolirebbero la giunta.2) Rispondere ai cittadini, che chiedono chiarezza, presenza e amministratori che vivano il territorio e lo conoscano “dal basso”.
 
Il Sindaco non è responsabile delle scelte personali altrui, ma è responsabile delle deleghe che conferisce. E se un assessore, per cause di forza maggiore o per scelte individuali, non può più esercitare pienamente il proprio ruolo, allora è compito del primo cittadino garantire che la macchina amministrativa continui a funzionare con efficienza e trasparenza. D’altronde l’etica istituzionale non è un concetto astratto: è il fondamento della fiducia pubblica. E quando la fiducia si incrina, l’istituzione intera ne soffre.
 
La legge, si sa, permette molte cose. Permette di partecipare alle giunte anche da lontano. Permette di mantenere incarichi pur risiedendo altrove. Permette persino di presentarsi di rado, purché siano soddisfatti alcuni requisiti formali. Ma il punto non è ciò che si può fare. È ciò che si dovrebbe fare.
 
L’etica pubblica nasce precisamente in questo spazio: quello in cui la norma tace e la coscienza parla. E qui la coscienza, quella civile prima ancora che politica, suggerirebbe un passo indietro. Una scelta di trasparenza. Un gesto di responsabilità verso il paese che si è chiamati a servire, non a titolo simbolico, ma concreto. Eppure, ad oggi, non risulta alcuna lettera di dimissioni.
Piuttosto, si ha la sensazione che, come un agrume spremuto fino all’ultima goccia, si vogliano trattenere titolo e indennità il più a lungo possibile.
 
In tempi recenti si è molto parlato di “nuova politica digitale”, di smart working amministrativo, di presenza attraverso lo schermo. Ma uno streaming non sostituisce un sopralluogo; una comparsa una tantum in una festa non sostituisce settimane di assenza; un sorriso nella foto di rito non sostituisce il lavoro quotidiano che il paese richiede. A lungo andare, l’effetto è sempre lo stesso: ci si sente presi in giro. E quando un’intera comunità inizia a percepire questo sentimento, la frattura tra amministrazione e cittadini diventa difficile da colmare.
 
Specifico che ciò che scrivo non va interpretato come un attacco politico. È una considerazione civica che nasce dal buon senso: se un ruolo non può più essere svolto, la soluzione migliore è affidarlo a chi già, da tempo, e silenziosamente, ne sostiene il peso.
 
La nomina di un nuovo assessore non sarebbe un atto punitivo, ma un atto di giustizia amministrativa. Sarebbe un modo per restituire dignità al lavoro di chi, ogni giorno, supplisce senza pretendere visibilità. E sarebbe un modo per riconciliare la comunità con le proprie istituzioni. Perché ci sono momenti in cui il coraggio politico non consiste nel mantenere, ma nel cambiare. Nel riconoscere che la forma non può prevalere sulla sostanza. Nel ricordare che l’amministrazione è un servizio, non un titolo.
 
Questa riflessione, nata a margine dell’intervento dell’opposizione riportato da periodici locali, non vuole puntare il dito, ma aprire uno spazio di meditazione civile.
Viviamo un’epoca in cui le istituzioni devono riconquistare fiducia, e la fiducia si riconquista attraverso la vicinanza. Fisica, morale, amministrativa. Quando un assessore vive a seicento chilometri dal paese che dovrebbe rappresentare, la distanza non è solo geografica: è simbolica. È la misura di uno scollamento che rischia di consumare lentamente la credibilità dell’intero sistema. Ed è su questo — più che sui nomi — che vale la pena riflettere.
 
Goffredo di San Martino

venerdì 5 dicembre 2025

CRESCENTINO: COMPRA LOCALE VINCI A NATALE, DAL 6 DICEMBRE AL 6 GENNAIO






 



COMPRA LOCALE e VINCI a Natale! 

🎄

Parte la nuova iniziativa promossa da Ascom, in collaborazione con il Distretto Diffuso del Commercio “Porta delle Grange” e i Comuni di Crescentino, Fontanetto Po e Lamporo.

Partecipare è semplicissimo! 🤩

Per ogni 10 € di spesa effettuata nei negozi aderenti, riceverai un biglietto con un CODICE UNIVOCO.

Sul retro del biglietto troverai un QR code:
📱 Scansionalo e compila il modulo che comparirà:

👉 Seleziona il Concorso di Crescentino
👉 Inserisci i tuoi dati
👉 Inserisci i dati di acquisto
👉 Inserisci il CODICE riportato sul biglietto
👉 Stacca il rettangolo con il CODICE
👉 Imbuca il rettangolino nella cassetta dedicata presente in qualsiasi negozio aderente all’iniziativa

✔️ NB: Conserva biglietti e scontrini di acquisto!
Se sarai sorteggiato dovrai esibirli, altrimenti la vincita non sarà valida.

🎁 Premi in palio:
🏆 1 Esperienza nelle Langhe per 2 persone!
🏆 1 Buono acquisto da 50 € da spendere nel negozio in cui è stata ottenuta la vincita!

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GIUSEPPE ARLOTTA: DALL'ELEGANZA DELLO SMERALDO AL RESPIRO DEL MARIELLA ( racconto di cinema e di strada )

                   Giuseppe Arlotta torna alla forma racconto, due cinema , due stagioni e il Far West, buona lettura !!




DALL’ELEGANZA DELLO SMERALDO AL RESPIRO DEL MARIELLA

 
                                                  (racconto di cinema e di strada)
 
Era un’epoca in cui i film del Primo Canale (l’attuale Rai 1) iniziavano solo dopo il telegiornale e il mitico Carosello, tra le 20:45 e le 21:00. Bastava quella breve sigla animata per farci capire che la giornata era davvero finita: al mattino ci aspettava la scuola, e noi venivamo puntualmente mandati a dormire, mentre in salotto restavano svegli solo i grandi, loro sì autorizzati a godersi quei film che per noi rimanevano un mistero. Forse anche per questo, per soddisfare la nostra sete di avventure e dare spazio a un immaginario che premeva per allargarsi, cercavamo rifugio nel buio accogliente delle sale cinematografiche.
 
 
 
Così, nei pomeriggi liberi o nei giorni festivi di primavera ed estate, la meta privilegiata diventava il Cinema “Smeraldo”, a due passi da Villa Dante, che per noi era un vero teatro di scorribande, con i suoi viali ombrosi e le panchine gonfie di racconti. Superato il ponte della ferrovia in via Consolare Valeria, si entrava nel quartiere di Provinciale; e, poco prima di arrivare alla sala di proiezione, c’era l’immancabile sosta sul marciapiede dirimpetto alla chiesa rionale, dove una vecchina, curva come un gancio, esponeva su un banchetto il suo tesoro di caramelle colorate: dure alla menta o all’anice, morbide come le liquirizie arrotolate, e mou avvolte in carte lucide che catturavano la luce del pomeriggio. Quelle tinte zuccherine facevano venire l’acquolina al solo guardarle, ma per noi avevano anche un’altra funzione, ben più utile.
 
 
 
Dietro quella facciata innocua, infatti, si nascondeva un commercio molto meno infantile: la vera attività dell’anziana venditrice non erano le caramelle, ma le sigarette di contrabbando, che offriva con un sorriso sghembo e un’occhiata di complicità che sembrava escludere il mondo degli adulti. Con centocinquanta lire ci si ritrovava in mano un pacchetto di Astor — “quelle che fanno male al cuore”, recitava la leggenda — oppure le dorate Benson & Hedges, forti e dall’aroma deciso, o ancora le più comuni HB o Marlboro. E così, dopo un rifornimento degno di una spedizione — caramelle in abbondanza e un pacchetto da venti a testa — ci incamminavamo verso l’ingresso del cinema, già pregustando l’effetto del buio in sala, quel momento in cui il mondo sembrava fermarsi per lasciare posto solo alle immagini.
 
 
 
Allo “Smeraldo” le proiezioni erano continue, e nessuno costringeva a uscire al termine del film: si restava al proprio posto, lasciando che la sala si riempisse e si svuotasse intorno a noi, apprestandoci a rivivere le scene che più avevano entusiasmato. In quegli anni fumare al cinema non era vietato, e il fumo delle sigarette si mescolava al fascio del proiettore creando una nebbiolina dorata che dava alle immagini un’aura quasi irreale. Seduti nelle file laterali, alternavamo una boccata di tabacco a una caramella usata con prudenza, sapendo che sarebbe stata l’unica protezione al momento del rientro a casa. Dosavamo lo zucchero come piccoli strateghi, coscienti che bastava un soffio di odore sospetto per far crollare qualsiasi nostra giustificazione.
 
 
 
Sul grande schermo scorrevano spesso film di seconda visione: imitazioni di James Bond, commedie scatenate di Franco e Ciccio, storie d’avventura che, pur viste mille volte, non perdevano mai il loro fascino. Uscivamo che il pomeriggio aveva già cambiato colore; il banco della vecchina era sparito, e noi rientravamo giusto in tempo per la cena, ancora immersi nell’eco di quelle immagini.
 
Eppure, tra le sale cinematografiche che scandivano la geografia del nostro piccolo mondo, ce n’era un’altra che aveva un sapore diverso — più ruvido e popolare — come se fosse il cuore pulsante di un quartiere rimasto fuori dal tempo. Era il “Mariella”: meno elegante dello “Smeraldo”, ma, a suo modo, più vivo, più invernale. Lì dentro non ci si limitava a guardare un film — si partecipava. Il pubblico diventava parte integrante dello spettacolo, un contrappunto di urla, risate, commenti a voce alta e fischi che accompagnavano ogni scena con una spontaneità che oggi sarebbe impossibile anche solo immaginare.
 
 
 
Il freddo dei pomeriggi impastati di scirocco e umidità sembrava amplificare la nostra voglia di avventure. Quelle domeniche sospese, in cui si cercava un pretesto per scappare dalla noia, trovavano spesso la loro destinazione nel “Mariella”, poco oltre la linea invisibile che segnava il confine con il Villaggio Aldisio. Una sala inquieta, un po’ burbera, ma attraversata da una vitalità che si avvertiva già all’esterno durante l’attesa per entrare.
 
 
 
L’ingresso, largo ma immerso in una penombra polverosa, emanava l’odore tipico dei cinema popolari: un miscuglio di fumo di sigaretta, stoffa consumata e zucchero caramellato. Il bigliettaio, nascosto dietro il vetro opaco, strappava i tagliandi senza nemmeno guardarci, come se ormai facesse parte dell’arredamento. Salivamo in galleria — pagando il supplemento, poche lire in più ma spese con convinzione — perché da lassù si vedeva meglio e, soprattutto, si evitavano le turbolenze della platea, dove l’agitazione iniziava ben prima della proiezione, quando la sala si trasformava in un autentico campo di battaglia parallelo allo schermo. Già, perché in quel cinema ogni film era una sorta di guerra nella guerra, un assalto nell’assalto, e noi, dall’alto, assistevamo, spesso anche partecipi, a quel doppio spettacolo con lo stesso entusiasmo con cui seguivamo la trama del film.
 
 
 
Dentro era un brulicare di rumori: sedie che scricchiolavano, bambini che correvano tra le file, volute di fumo che salivano pigre verso il soffitto. Lo schermo, leggermente ingiallito, sembrava più grande di quanto fosse realmente, forse perché lo guardavamo con occhi pronti a inseguire orizzonti lontani. E quando le luci si affievolivano lentamente fino a spegnersi, in quel calo di buio si percepiva la promessa di un luogo da esplorare, e noi eravamo pronti a entrarci. Ricordo ancora le vecchie pellicole a colori in Panavision della fine degli anni ’50, quando il cielo si spalancava sopra scenari western capaci di insinuarsi sotto pelle, vasti e ardenti come un respiro trattenuto troppo a lungo.
 
 
 
Bastavano le prime note della colonna sonora per far tacere ogni brusio. Sullo schermo, per tre quarti della proiezione, si susseguivano immagini, dialoghi e situazioni di vario genere, ma nella parte finale il copione era sempre lo stesso: un fortino assediato e i pellerossa che attaccavano. Il forte sembrava resistere a fatica. Le palizzate di tronchi, annerite dal fumo, tremavano sotto gli urti delle scale di legno gettate dagli assedianti armati di tomahawk e coltelli. Gli indiani, dipinti di guerra, emergevano da ogni direzione come onde di un mare ostile: criniere nere e piume che sventolavano come vessilli selvaggi, lance che trafiggevano l’aria con fischi minacciosi. Galoppavano in cerchio, scoccando frecce infuocate che si conficcavano nei tetti. La colonna sonora diventava monodica: un tamburo martellava un ritmo ossessivo, come un cuore che batte sempre più forte. Le immagini si alternavano frenetiche: i cavalli al galoppo sollevavano nuvole di polvere, le giubbe blu si piegavano in avanti con i fucili puntati verso i nemici, le sciabole brillavano al sole. Poi il contrattacco, le urla, gli spari — e tutti, seduti su quelle poltroncine consumate, stringevano i pugni come se fossimo lì, con loro, dentro quella battaglia. Qualcuno, in un eccesso di immedesimazione, sussurrava un “semu persi”.
 
 
 
La cinepresa seguiva le cariche dei pellerossa e, immediatamente dopo, indugiava all’interno del forte, dove un capitano con il volto affaticato e rigato di sudore impartiva ordini urlando sopra il fragore degli spari. Accanto a lui, una ragazza teneva la mano di un ferito, come se quel gesto potesse fermare il tempo e la morte, anche quando arrivava il medico e le ordinava di spostarsi. “Non posso lasciarlo!” gridava. E in sala, al Mariella, calava una quiete strana, quasi rispettosa, rotta solo dal ronzio meccanico della pellicola e da un “minchia” urlato con angoscia e un filo di commozione da uno degli adulti in galleria. Quella sospensione inattesa avvolgeva la sala: un’aria di rispetto, di trepidante speranza. Perfino il rumore della pellicola sembrava rallentare, come se il proiettore stesso trattenesse il fiato.
 
 
 
Poi tutto cambiava. Velocemente, il fuoco si propagava sui tetti, mentre donne e soldati portavano secchi d’acqua per spegnere le fiamme che pericolosamente si avvicinavano alla polveriera. Le difese del forte vacillavano sotto la spinta degli assedianti. Il suono del tamburo accelerava ancora. E noi con lui. La platea diventava uno specchio imperfetto della battaglia: qualcuno stringeva i braccioli come se fossero le palizzate del forte; altri inveivano contro i nemici sullo schermo come se potessero spaventarli davvero. Dai posti più bassi, i ragazzini, presi dall’entusiasmo, lanciavano verso la galleria cartocci vuoti, imitando il gesto di chi scocca una freccia; altri, dall’alto, tiravano bucce d’arancia come fossero colpi di fucile.
 
 
 
Ma il momento che tutti aspettavamo arrivava sempre allo stesso modo: all’improvviso, limpido e inconfondibile, lo squillo di una tromba. Come una promessa che avanza. Lontano ma in avvicinamento si udiva il classico e indimenticabile tatatta-tattatatta-tatattatatata, un suono metallico che tagliava l’aria e il cuore. Sullo schermo la cavalleria lanciata al galoppo irrompeva in un turbine di luce, polvere e sole si mescolavano, sciabole sguainate scintillavano come lampi. Credo che nessuno dei registi o dei produttori di quei film avrebbe mai potuto immaginare proiezioni così visceralmente vissute. Per loro erano storie costruite a tavolino, destinate a intrattenere. Per noi, invece, erano universi in cui entrare di corsa, con tutta l’emozione possibile.
 
 
 
Ciò che accadeva in sala aveva un effetto devastante. Un coro di voci rompeva il silenzio al grido di «Arrìvunu i nostri!», seguito da un boato che faceva vibrare le pareti. Dai primi posti della galleria partiva una pioggia di oggetti: palline di carta stagnola, pacchetti di sigarette vuoti, cartacce di caramelle, pezzi di panini — avanzati delle amorevoli merende preparate dalle mamme — scagliati con precisione militare. Qualcuno batteva i piedi per imitare il galoppo, altri urlavano “Annamu avanti!” come se volessero spingere i cavalli dentro lo schermo, e altri ancora sventolavano i cappotti come bandiere. Sentendo la tromba suonare la carica, ci si alzava quasi tutti in piedi, senza accorgercene, come se quell’ordine fosse rivolto a noi. Non era solo cinema: era un impulso condiviso, un’onda di entusiasmo che ci trascinava e ci faceva sentire parte dell’assalto, della battaglia, della vittoria.
 
 
 
Non so quante volte, in quei pomeriggi, mi sono riparato con le mani da lanci degni di un cecchino professionista: pensavo che forse non c’era differenza tra quel forte e la nostra sala — assediati anche noi, ma certi che la svolta sarebbe arrivata proprio quando tutto sembrava perduto. E proprio in quei momenti, il Mariella esplodeva e scendeva in guerra. Quando il forte resisteva, era come se resistessimo anche noi; quando i soldati travolgevano gli assedianti, era come se la salvezza fosse giunta per l’intero cinema. La polvere del campo di battaglia si mescolava al fumo delle sigarette, il fragore dei colpi alle grida scomposte del pubblico. In quelle domeniche d’inverno, tra l’odore di mandarini sbucciati e il calore della sala gremita, si creava una specie di alleanza invisibile tra gli spettatori e i soldati sullo schermo. Combattevamo come se l’esito della battaglia dipendesse davvero dalla nostra presenza. Le urla si moltiplicavano: c’erano incitamenti, risate isteriche e persino qualcuno tra i più esagitati che, tra gli applausi, gridava: “Mmazzamuli tutti!”, non per spronare gli attori, ma per condividerne la vittoria. Era un impulso primordiale, quasi rituale, che trasformava una semplice proiezione in un evento collettivo. Guardavamo il film e, nello stesso istante, la platea: due battaglie intrecciate, due mondi che si riflettevano e si alimentavano. Poi, quando il portone del forte si spalancava e la cavalleria irrompeva tra gli applausi reali e fittizi, mischiati in un’unica frenetica ovazione, la tensione si spezzava in un’esplosione: una scarica liberatoria che travolgeva tutto il cinema. Sembrava quasi che la vittoria appartenesse a tutti, come se quelle pareti scrostate avessero combattuto e vinto insieme a noi.
 
 
 
Quando uscivamo nella sera fredda, ancora con l’eco dell’assedio nelle orecchie e, nelle mani, a volte un po’ del cartoccio spiegazzato che avevamo usato come “munizione” contro la platea, portavamo con noi una sensazione difficile da descrivere: una sorta di avventura condivisa, di fraternità improvvisata, come se per un paio d’ore fossimo stati davvero nel Far West. Non era una storia proiettata su uno schermo: era un campo di battaglia in cui ognuno interveniva a modo suo. C’era chi tifava urlando come in Curva Sud al campo sportivo Giovanni Celeste, chi lanciava qualsiasi cosa avesse a portata di mano per “far parte dell’azione”, e chi, come i vecchi del quartiere, se ne stava immobile, con le braccia conserte, ma con gli occhi che brillavano a ogni carica della cavalleria. Non era solo intrattenimento: era un rito. Un momento in cui la realtà di quel quartiere, con le sue crepe e i suoi piccoli drammi quotidiani, veniva sospesa.
 
 
 
Sulla via del ritorno ridevamo, ci spintonavamo, ma dentro, ognuno a modo suo, portava via la sensazione di aver assistito a qualcosa di più grande di un semplice film. L’aria sapeva di polvere e benzina, i rumori della strada sembravano lontani, come se fossimo ancora in quell’Ovest immaginario appena lasciato. Bastava uno sguardo d’intesa e il gioco ricominciava: le mani si trasformavano in pistole, con il pollice alzato e l’indice teso, il medio come leva d’appoggio; dalla bocca uscivano colpi secchi, “pàh-pàh”, “bang-bang”, e ogni sparo era accompagnato da cadute plateali, corse a zig-zag, assalti improvvisati. Il marciapiede diventava prateria, i portoni saloon, e noi cavalcavamo invisibili destrieri lanciati all’inseguimento di nemici immaginari. Correvamo da un lampione all’altro, nascondendoci dietro i muretti come fossero le palizzate del forte, tendendo agguati agli “indiani” invisibili che popolavano la nostra fantasia. Ogni colpo andava a segno, ogni caduta era una recita degna di un eroe di celluloide.
 
 
 
Ripensandoci oggi, forse la magia stava tutta lì: in quella capacità di portarsi dietro il film, di non lasciarlo chiuso dentro il buio della sala, ma di farlo vivere ancora, strada facendo, finché il sole, cominciando a calare, ci ricordava che l’avventura del West era giunta al termine. Forse, in fondo, eravamo già consapevoli che quelle sparatorie fatte con le dita, quelle cavalcate senza cavalli e quelle vittorie contro nemici che esistevano solo nella nostra testa erano il modo più semplice — e più vero — di essere felici, perché in quell’età bastava crederci per rendere reale qualunque impresa. Non era solo un gioco: era un modo per sentirci parte di una storia più grande, con la certezza infantile che, all’ultimo momento, i “nostri” sarebbero arrivati a salvarci.
 
Giuseppe Arlotta
 
4 dicembre 2025
 

METEO NIMBUS WEEK END E APPUNTAMENTI

 MOLTISSIMI APPUNTAMENTI  QUESTO WEEK END:

A CRESCENTINO SABATO SI ACCENDONO LE LUCI DEL NATALE CON UN POMERIGGIO DEDICATO AI BAMBINI IN PIAZZA CARETTO,  ALLE 18.00 ACCENSIONE DELL'ALBERO.

A CRESCENTINO ALLE 21.00  AUDITORIUM ANGELINI:  " COSI' VIENE NATALE "  , SPETTACOLO MUSICALE IDEATO DA ADRIANO MATTA, INGRESSO LIBERO

A GABIANO,  DOMENICA 7 NATALE A CORTE  DALLE 10 ALLE 18.00

A CAVAGNOLO  DOMENICA 7  NATALE IN PIAZZA, MERCATINO TIPICO DEL NATALE

CAVAGNOLO  LUNEDI' 8 DICEMBRE   : A CHRISTMAS CAROL  ,TEATRO MARTINI ALLE ORE 17.00

A ORIO CANAVESE NON LONTANO DA CALUSO,  DOMENICA 7  GRAN MERCATINO DI NATALE  CON OLTRE 100 ESPOSITORI

TORNANO GIORNATE IN GRAN PARTE SOLEGGIATE, TEMPERATURE IN AUMENTO. TRA SABATO E DOMENICA FRONTE ATLANTICO SULL'ARCO ALPINO CON NEVE IN QUOTA E PIOGGIA NEI FONDOVALLE.
Un flusso da nord-ovest segue il transito di una perturbazione atlantica riportando ampie schiarite al sud delle Alpi. Nel fine settimana un fronte atlantico raggiungerà l'arco alpino con correnti occidentali in intensificazione e via via più temperate in quota, con precipitazioni che saranno nevose solo in alta montagna.
In pianura si registreranno solo passaggi nuvolosi, mentre le schiarite torneranno a estendersi lunedì con il rafforzamento di un campo di alta pressione sul Mediterraneo.


PROBABILE EVOLUZIONE FINO AL 15 DICEMBRE
Fino al 13 dicembre prevarranno le schiarite con passaggi nuvolosi a tratti e strati di nubi basse tra Astigiano e Alessandrino. Dal 13 dicembre correnti da sud-ovest sul bordo di una depressione atlantica con nubi in aumento e probabilmente qualche pioggia sparsa tra il 14 e il 15 dicembre. Temperature massime a 8/11 °C in pianura e sui 6 °C a 1500 metri.


SABATO
06

DICEMBRE
2025

Cielo:soleggiato con velature, ma nebbie anche estese tra notte e mattina su basse pianure.
Annuvolamenti in aumento su alte valli torinesi, del Sesia, Ossola e sull'interno della Valle d'Aosta e in giornata tra Astigiano e Alessandrino.
Precipitazioni:
tendenza dal mattino a nevischio in quota su creste e cime di confine del Torinese, Sesia, Ossola e sulle alte valli occidentali e settentrionali valdostane o neve più fitta in quota in area Monte Bianco.
In serata accentuazione dei fenomeni sulle stesse zone con piovaschi entro le valli occidentali e settentrionali valdostane, in parte fino alla vallata centrale, e neve più fitta oltre i 1500-1600 metri.
Venti:
pianura e collina: deboli variabili o occidentali
fondovalle: deboli variabili su basse valli, in rinforzo tra pomeriggio e sera tra ovest e nord-ovest per foehn sulle alte valli
media montagna: moderati o forti occidentali tendenti a nord-ovest
alta montagna: forti occidentali tendenti a nord-ovest

Temperature:
minime in calo (-3/2 °C in pianura e bassa collina; -2/4 °C tra 500 e 1000 metri; -5/-2 °C tra 1000 e 1500 metri). Massime in aumento sui rilievi (8/10 °C in pianura e bassa collina; 6/9 °C tra 500 e 1000 metri; 5/7 °C tra 1000 e 1500 metri). Zero gradi sui 2000-2600 metri nelle ore centrali.

  

DOMENICA
07

DICEMBRE
2025

Cielo:fino al mattino tra parzialmente e irregolarmente nuvoloso, in parte con nebbie su basse pianure o più nuvoloso su alte valli torinesi, del Sesia, Ossola e sulla Valle d'Aosta.
In giornata poco o a tratti parzialmente nuvoloso per velature e addensamenti più compatti tra Langhe, Monferrato e Appennino. 
Permangono annuvolamenti anche sull'interno delle valli del Torinese, Sesia, Ossola e sulla Valle d'Aosta.
Precipitazioni:
nevicate in accentuazione sulle alte valli torinesi, del Sesia, Ossola e in modo più fitto entro le valli valdostane, tendenti a portarsi dai 1600-1700 metri a oltre i 2000 metri tra pomeriggio e sera; al di sotto piogge sulla Valle d'Aosta e tendenza a piovaschi sui fondovalle torinesi, del Sesia e Ossola fin verso i 1000 metri.
In tarda serata fenomeni tendenti a portarsi sui settori in quota e di confine, piogge in cessazione nei fondovalle.
Venti:
pianura e collina: deboli variabili
fondovalle: deboli variabili su basse valli, rinforzi tra ovest e nord-ovest alle testate vallive
media montagna: moderati o forti da nord-ovest
alta montagna: forti da nord-ovest

Temperature:
minime in aumento (-2/2 °C in pianura e bassa collina; 1/5 °C tra 500 e 1000 metri; -2/2 °C tra 1000 e 1500 metri). Massime in lieve calo in pianura, in aumento in quota (7/9 °C in pianura e bassa collina; 7/9 °C tra 500 e 1000 metri; 4/7 °C tra 1000 e 1500 metri). Zero gradi sui 2300-2800 metri nelle ore centrali.

  

LUNEDÌ
08

DICEMBRE
2025

Cielo:soleggiato con lievi velature, a parte addensamenti fino al primo mattino su creste e cime di confine tra Valle d'Aosta e Ossola.
Nebbie su basse pianure tra notte e mattino.
Precipitazioni:
assenti.
Venti:
pianura e collina: deboli variabili
fondovalle: deboli variabili, rinforzi tra ovest e nord-ovest alle testate vallive fino al mattino
media montagna: in attenuazione, deboli da nord-ovest
alta montagna: in attenuazione, deboli o moderati da nord-ovest

Temperature:
minime in lieve aumento (-2/2 °C in pianura e bassa collina; 3/6 °C tra 500 e 1000 metri; 1/3 °C tra 1000 e 1500 metri). Massime in aumento (9/12 °C in pianura e bassa collina; 9/13 °C tra 500 e 1000 metri; 8/10 °C tra 1000 e 1500 metri). Zero gradi sui 3000-3300 metri nelle ore centrali.

  


SALVATORE SELLARO CAPO GRUPPO DI MINORANZA AL COMUNE DI CRESCENTINO RIBADISCE SUL BLOG QUANTO DETTO IN CONSIGLIO COMUNALE SULL'ASSESSORE LUCA LIFREDI

 In un breve contatto telefonico stamane tra il blogger e il  Capo Gruppo di minoranza in comune  Salvatore Sellaro,  lo stesso  ha tenuto a ribadire quando ha detto durante l'ultimo consiglio comunale   in un ambito di discussione su modifiche di bilancio e iniziative sociali .

Sellaro ha affermato che Cresccentino e' uno dei pochi comuni in cui i consiglieri di maggioranza e di minoranza rinunciano ai gettoni di presenza,  con assessori che si sono tagliati lo stipendio del 50 per cento .

Ma il discorso di Salvatore Sellaro e' poi andato sull'Assessore Luca Lifredi  , ex Vice Sindaco della prima sindacatura Ferrero.   Lifredi  continua Sellaro , prendeva lo stipendio intero quando gli altri lo dimezzavano , oggi  continua a fare l'Assessore. ma la verità e' che da tempo si e' trasferito a vivere al Centro Sud , non e' presente nel paese, non segue le sue deleghe, partecipa alle giunte perchè la legge lo permette, ma non e' mai qui.

Sellaro dice che questo non va bene  perchè il suo stipendio e' pagato da persone che si alzano alle  6 del  mattino e fanno sacrifici,  non e' quindi persona coerente   visto che non e' presente.

Sellaro dice che manca di correttezza anche verso i suoi colleghi che ci mettono la faccia e si prendono magari anche degli insulti.  Sellaro afferma che sono almeno 6 mesi che non c'è piu' e che si prende lo stipendio senza esserci alla faccia dei crescentinesi.

 Sellaro si e' poi chiesto se il problema sussiste anche in provincia dove lo stesso Lifredi  siede in consiglio eletto nelle file di Fratelli d'Italia.

Fin qui Salvatore Sellaro, da fonti giornalistiche si apprende che il Sindaco Ferrero in una breve risposta ha affermato che l'assegnazione delle deleghe e degli incarichi ricade sulla sua figura e che quindi tutto e' in oggetto di valutazione.

Ringrazio Salvatore Sellaro che torna sul blog dopo molto tempo e che mi ha permesso di informare anche i lettori di Mauro at Large su questo importante evento in consiglio.

Mauro Novo

mauro at large

SALUGGIA: BIBLIOTECA CIVICA FALDELLA: ASPETTANDO IL NATALE, SABATO 13 DICEMBRE

 La Biblioteca Civica “G. Faldella” di Saluggia ha in programma il seguente appuntamento:

 SABATO 13 DICEMBRE 2025

Aspettando il Natale.

Laboratorio a cura della Dott.ssa Chiara Falciola.

Fascia 0-3 anni: ore 10.00.

Preparazione di un piccolo alberello natalizio.

Fascia 4-6 anni: ore 11.00.

Creazione di un simpatico Grinch.

Presso Biblioteca Civica “G. Faldella” di Saluggia.

Durata attività: 45 minuti circa per ogni gruppo.

Per partecipare ai laboratori è necessario prenotarsi al numero 0161240472 oppure tramite

messaggio Whatsapp al numero 331 6459342 fino ad esaurimento posti (1 bambino + 1

adulto per max 6 bambini + 6 adulti per turno).

L’accesso allo spazio bimbi e la partecipazione ai laboratori sono gratuiti.

giovedì 4 dicembre 2025

IL FILM DEL GIORNO: BREVE STORIA D'AMORE

 IL PARERE DEL BLOGGER:  Un gioco ad incastri molto ben riuscito, una storia di tradimento  con sviluppi inaspettati e un cast di attori che esprimono la loro bravura, su tutti Pilar Fogliati che conferma la sua fama dopo il successo di Follemente.  Breve storia d'amore e' un esempio riuscito di drama comedy all'italiana  con una sceneggiatura che marcia bene fino alla fine.

da vedere




Breve Storia D’Amore

DATA DI USCITA
Dal 27 Novembre 2025
TRAMA

Questa è la storia di due coppie. I trentenni Lea e Andrea, e i cinquantenni Rocco e Cecilia. Quattro personaggi i cui destini collidono la sera in cui Lea conosce Rocco in un bar e inizia con lui una relazione clandestina, consumata in una stanza d’albergo. Un tradimento come tanti, in apparenza, che prende una piega imprevista quando Lea comincia a infilarsi nella vita di Rocco, fino a coinvolgere i rispettivi compagni in una resa dei conti finale.

REGIA
Ludovica Rampoldi
CAST

Pilar Fogliati, Adriano Giannini, Valeria Golino e Andrea Carpenzano.

CLASSIFICAZIONE
10+
GENERE
Drammatico
DISTRIBUZIONE
01 Distribution
DURATA
98 min

TEATRO LIEVE FONTANETTO PO: DESTINO DI UN CLOWN, CON DAVIDE LARIBLE, VENERDI' 12 DICEMBRE ORE 21.00, SABATO 13 DICEMBRE A CRESCENTINO PRESENTAZIONE NUOVA STAGIONE TEATRALE , EVENTO AL PICCOLO TEATRO MIMMO CANDITO