mercoledì 18 giugno 2025

GIUSEPPE ARLOTTA: L'ILLUSIONE DELLA FELICITA' - (SECONDA PARTE ), maleducazione e aggressioni: l'ignoranza armata


E' troppo dura questa analisi che Giuseppe Arlotta fa del tempo in cui viviamo?  Se la prima parte dell'Illusione della felicità  pubblicata una decina di giorni fa era piu' filosofica e forse meno diretta,  questa seconda parte entra nel cuore del problema e colpisce a fondo;  i commenti sono benvenuti, il primo lo faccio io in questa piccola prefazione: 

Non posso non essere d'accordo con Arlotta,  sono stato tirato su alla vecchia maniera,  ho fatto le scuole dell'obbligo e le superiori nell'altro secolo,  i problemi c'erano,  la mia classe in Ragioneria era considerata turbolenta, ma si tirava la carretta ,si imparava e si studiava al momento giusto e non ricordo di genitori che contestassero in modo violento  i metodi di insegnamento e che lodassero il figlio che magari era ....inadempiente allo studio ,  nessuno poi pensava a far causa agli insegnanti  pensando di avere in casa un premio Nobel in erba.

Qualcuno considererà questo post  conservatore ,  ma vi ricordo che le lauree in Facebook o Instagram non sono state ancora autorizzate.  Non ho voluto   toccare la questione ospedali e medici,  se sono qui che scrivo in questo momento e' grazie a molti interventi di bravi dottori  in vari momenti  della mia vita.

buona lettura.

IL BLOGGER


 L’ILLUSIONE DELLA FELICITÀ – (SECONDA PARTE)   maleducazione e aggressioni: l’ignoranza armata

 
Viviamo in un’epoca in cui la maturità si misura i like e la libertà in gigabyte. I padri hanno smesso di essere modelli, le madri non pretendono più ascolto, e i figli crescono – o meglio, invecchiano – in un eterno presente fatto di pretese e di assenza di regole. In una società in cui ogni giorno si laureano, honoris causa, nuovi “esperti” del nulla, non stupisce più che chi non ha mai letto un classico pontifichi su qualunque tema, armato solo di presunzione e connessione internet. Il web, specchio deforme della realtà, ha trasformato le chiacchiere da bar in manifesti ideologici.
 
Anche nei gesti quotidiani si è smarrito il senso del limite. I pasti in famiglia si sono svuotati del loro significato, diventando pura necessità biologica e non occasione di dialogo e condivisione, ma pause in cui si ingurgita cibo davanti a uno schermo. Il matrimonio stesso, ridotto a pratica di “sesso sicuro”, perde la sua dimensione simbolica e spirituale, la famiglia un contenitore svuotato di guida e autorità. e le vacanze diventano un modo per mostrarsi, non più esperienze per scoprire, incontrare, aprirsi, ma selfie in luoghi che si dimenticheranno il giorno dopo.
 
Un tempo si studiava Omero, Virgilio, Dante e Manzoni. Si imparava a pensare, a scrivere, a leggere il mondo. Oggi si “interpreta il testo” su canzoni pop o post di Instagram, si banalizza tutto per non “traumatizzare” gli studenti - e chi osa chiedere disciplina si ritrova con un genitore che lo aspetta fuori da scuola per “fargliela pagare”. O, peggio ancora, viene filmato e sbeffeggiato in classe da chi pretende rispetto senza sapere nemmeno cosa significhi. Nel frattempo, negli ospedali, chi salva vite viene preso a pugni da parenti inferociti perché "hanno aspettato troppo", perché la realtà non coincide con le loro pretese. Il rispetto? Un concetto superato. L’educazione? Una responsabilità scaricata sugli altri. Gli adulti, molti adulti, hanno smesso di essere esempi e si sono trasformati in complici del degrado.
 
Il problema non sono i giovani. Sono i genitori che li hanno abbandonati a se stessi. Addirittura giustificandone i cattivi comportamenti. Padri e madri che, per paura di sembrare autoritari, si sono arresi all’anarchia affettiva. Purtroppo. abbiamo costruito una società in cui i doveri sono diventati facoltativi e i diritti un pretesto per pretendere senza dare: “Ha bisogno di esprimersi”, dicono. Ma esprimersi non significa offendere, non significa distruggere, Non è libertà quella che si costruisce senza limiti, è solo capriccio protetto. Eppure, tutto viene scusato: la maleducazione, la svogliatezza, l’ignoranza. Nessuno osa più parlare di doveri - sono diventati un’idea scomoda, una reliquia impolverata di un tempo in cui si faticava per conquistare qualcosa. Ora si pretende. Si rivendica. Si consuma.
 
Tutti “devono” capire il ragazzo, discolpare l’alunno, sopportare il paziente, tollerare il maleducato. E così crescono generazioni convinte che tutto sia loro dovuto: senza fatica, senza rispetto, senza consapevolezza. Ma guai a dirlo. Guai a parlare di valori, di educazione, di studio come impegno che premia. Guai a dire che leggere Quasimodo, Ceronetti, Pasolini o Pavese è più utile che scrollare TikTok. Guai a ricordare che l’istruzione vera è sacrificio, non intrattenimento o promozioni automatiche. Eppure, è proprio lì che si gioca la nostra libertà: nello sforzo, nella disciplina, nella responsabilità. Perché chi non pensa si consegna al primo slogan, al primo influencer, al primo venditore di felicità facile.
 
Un tempo la scuola era silenzio rispettoso, voci concentrate, sguardi rivolti alla lavagna come a un orizzonte possibile. Non era perfetta, certo, ma custodiva una sacralità: quella del sapere che si trasmette, della parola che si ascolta, del gesto che si imita per diventare uomini e donne. Oggi, quel silenzio si è perso sotto il frastuono del chiacchiericcio insolente, dei video rubati in classe, delle urla di genitori pronti a difendere l’indifendibile. Si urla tanto, ma non si dice nulla.
 
Cosa resta, allora, dell’educazione? Resta chi ancora resiste. Chi crede che spiegare Leopardi o insegnare il silenzio sia un atto rivoluzionario. Chi entra ogni mattina in aula come in un tempio fragile, armato solo di pazienza e speranza. Chi non rinuncia a richiamare, a esigere rispetto, a insegnare con disciplina e amore. Non per nostalgia del passato, ma per amore del futuro. Ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo che educa è un atto di fiducia. Perché non si educa per oggi, ma per ciò che verrà. Per far nascere un senso, una coscienza, una voce. Per restituire profondità a chi si accontenta della superficie. Educare è dire “no” quando serve, spiegare anche quando nessuno ascolta, resistere quando il mondo ride o piange a comando. È seminare in terreni aridi, con la certezza che qualcosa, prima o poi, crescerà. E se non crescerà, avremo almeno avuto il coraggio di provarci.
 
Chi poco conosce forse vive “sereno”, ma nella beata ignoranza di chi si accontenta del minimo e disprezza il massimo. La verità è che senza studio, senza cultura, senza pensiero critico, si resta schiavi delle mode, delle pubblicità, dei ciarlatani digitali. Si accetta qualunque verità confezionata, si inghiotte ogni notizia senza digestione, si vive come animali sociali che hanno perso l’anima. Non c’è libertà dove non c’è conoscenza. Non c’è futuro dove non c’è educazione. E non c’è felicità dove manca il rispetto, la voglia di imparare, la responsabilità. La scuola non deve essere un parcheggio. La famiglia non può essere una scusa. L’ignoranza non va giustificata: va combattuta. Perché una vita senza pensiero non è vita. È solo un lungo e comodo addormentamento.
 
Giuseppe Arlotta
 
17 giugno 2025

1 commento:

  1. Oggi come tema alla maturità e' uscita una traccia che parla di rispetto, questo poteva essere uno svolgimento che avrebbe ottenuto voti altissimi, e' stato davvero un caso e non solo questo, si parla alla maturità anche di Pasolini che Arlotta cita nel testo
    IL BLOGGER

    RispondiElimina