DA “LIBERO QUOTIDIANO” E “IL
FATTO QUOTIDIANO”
OGGI FACCIAMO LUCE SUI DIARI
DEL DUCE - IN UN’AGENDA LE CONFESSIONI DI MUSSOLINI IN QUEL TRAGICO 1942 TRA LA
RITIRATA DI RUSSIA E LA RESA DI EL ALAMEIN: “DUE SONO I MALI CHE MI DILANIANO:
I TRADITORI E LA PAZZIA DI HITLER. ORA SOTTO DI ME SI È APERTO IL PRECIPIZIO”
Il mensile “Storia in rete” diretto da Fabio Andriola
dà notizia della scoperta in Svizzera di un’agenda del Duce risalente al 1942 e
torna a divampare la polemica sull’autenticità dei diari di Mussolini - Non a
caso, Andriola puntualizza all’inizio che la nuova, presunta agenda
mussoliniana del ’42 arriva da una filiera diversa da quella dei celebri diari
falsi acquistati da Dell’Utri...
1. DALLA
SVIZZERA SPUNTA IL VERO DIARIO DEL DUCE
Simone Paliaga per “Libero Quotidiano”
Simone Paliaga per “Libero Quotidiano”
«L’immaginario
collettivo si è talmente assuefatto all’idea che i diari di Mussolini possano
essere solo falsi che, se verranno fuori quelli veri, bisognerà
fare una gran
faticaccia per dimostrarne l’autenticità», dichiarava anni fa Renzo De Felice.
E ora che sembra spuntare l’agenda del Duce risalente al 1942 la polemica
tornerà a divampare.
Della
scoperta dà l’annuncio il mensile Storia in rete di giugno mentre sul sito
www.storiainrete.com la versione digitale è scaricabile già da oggi a 3,49
euro. Sarà, questo diario, quello vero oppure un ulteriore falso?
Secondo il
direttore di Storia in rete Fabio Andriola, che dopo aver ricostruito la
vicenda dei diari da Zerbino a casa Panvini fino a Marcello Dell’Utri annuncia
la pubblicazione di alcuni estratti nel numero di luglio, le pagine appena
portate in superficie potrebbero essere originali. Prima di lui di cantonate,
su queste agende, ne sono state prese parecchie, a cominciare da quella di
Denis Mack Smith.
Epperò ci
sarebbero delle evidenze che potrebbero far propendere a favore
dell’autenticità. Andriola stesso ha visionato il diario finora inedito in
Svizzera. A rendere plausibile la genuinità di queste pagine del 1942 ci
sarebbero diversi fattori. Che il collezionista elvetico, una volta contattato
il mensile di divulgazione storica italiano, non abbia chiesto né cercato
compensi deporrebbe per Andriola a favore della fonte.
Ma
soprattutto, secondo il direttore, ci sarebbero ulteriori elementi che
potrebbero rendere verosimile che quello consultato sia un diario uscito
direttamente dalla penna di Mussolini.
Andriola
infatti ha confrontato alcune pagine del presunto diario del 1942 del
collezionista svizzero con alcune fotocopie di un altro diario dello stesso
anno offerte in vendita, nel ormai lontano 1967, al Sunday Times da un italiano
di nome Ettore Fumagalli. Alla fine, allora, l’affare era saltato. Ma di quelle
carte, per quanto poi risultate false, la testata inglese ha conservato in
archivio delle fotocopie.
Dal
raffronto tra le due versioni, quella integrale appena trovata in Svizzera e
l’altra, è emersa però una scoperta bizzarra. Il contenuto sarebbe pressoché
uguale. Ma ci sono alcune differenze. Nella gran parte dei casi presi in esame
le pagine del Diario inedito risultano più fitte, coperte da una grafia più
minuta e per questo contengono più parole. Invece la copia, pur riproducendo il
testo di ogni pagina, taglia sempre qualche riga conclusiva.
Evidentemente
il falsario non sarebbe riuscito a gestire nel migliore dei modi la propria
grafia e spesso si interrompe qualche riga prima della fine perché lo spazio
non è stato ben gestito e quindi il testo ha occupato più spazio del dovuto.
Unica eccezione la si riscontra leggendo quanto scritto in data 29 giugno
(anche se la notazione inizia sulla pagina del 17 luglio). Qui accade
esattamente il contrario: il presunto falsario avrebbe usato uno stile di
scrittura più piccolo dell’originale e quindi finisce di copiare il testo prima
di arrivare alla fine della pagina.
Così decide
di colmare la parte rimasta bianca con quanto, nell’originale, si trova nel
foglio seguente. A questo punto la schiera degli scettici potrebbe gonfiarsi.
Ma, a opinione di Andriola, in maniera inopportuna perché sarebbe improbabile
che esistano due falsi di una stessa agenda. Sarebbero stati inutili. Come è
possibile vendere in contemporanea due copie di un documento che difficilmente
l’eventuale acquirente avrebbe tenuto per sé? L’ipotesi avanzata da Andriola è
che a casa Panvini si «falsificò», sì, ma copiando da un originale piuttosto
che inventando di sana pianta.
L’epopea infinita
dei diari e dei quaderni di Benito Mussolini continua. Adesso è il turno di
un’agenda del 1942. Per il Duce è un anno cupo, che termina con una grande
depressione. Ci sono la campagna russa e la rovinosa ritirata dell’Armir. Sul
fronte africano, c’è la resa di El Alamein. Annota Mussolini, il 29 giugno,
mentre è in partenza per l’Africa da Guidonia: “Due sono i mali che mi
dilaniano: i traditori e le pazzie di Hitler. Sono entrambi di una importanza
enorme”.
Poi il
pensiero finale, alla data del 31 dicembre: “Ora sotto di me si è aperto il
precipizio”. La scoperta dell’agenda è del mensile Storia in Rete, diretto da
Fabio Andriola, storico e giornalista. Nel lungo saggio sul diario inedito,
Andriola parte da un suo viaggio in Svizzera e la prima novità riguarda
l’approccio con l’anonimo collezionista in possesso dell’agenda.
Rivela
Andriola: “ Nessuno ha chiesto o offerto denaro: non l’ha fatto Storia in Retee
non l’ha fatto chi ci ha messo a disposizione tutto quello che aveva in
originale e non in copia”. Il dettaglio sui soldi non è secondario. Sin dagli
Anni Cinquanta attorno ai diari del dittatore fascista si è sviluppato un
florido e milionario mercato alimentato da intermediari, faccendieri, falsari e
semplici imbroglioni.
Non a caso,
Andriola puntualizza all’inizio che la nuova, presunta agenda mussoliniana del
’42 arriva da una filiera diversa da quella dei celebri diari falsi acquistati
da Marcello Dell’Utri, il berlusconiano condannato per mafia con la passione
per la bibliofilia.
La
differenza con i “falsi” di Dell’Utri
Dell’Utri
comprò i falsi da un commerciante di Domodossola, da poco morto, e di nome Aldo
Pianta, cinque “annate” del Duce: 1935, 1936, 1937, 1938, 1939. A eccezione del
1938, i diari furono pubblicati da Bompiani tra il 2010 e il 2012. Non solo,
quando poi lo stesso Dell’Utri ha tentato di accordarsi, per altre strade, con
il collezionista svizzero dell’agenda del ’42 pubblicata ora da Storia in Rete,
la trattativa è fallita, e non per motivi economici.
Chiarito
questo dettaglio, la provenienza del nuovo diario del ‘42 poggia su un’ipotesi
classica per gli specialisti della memorialistica del Duce: i misteri e i
“vuoti” ancora irrisolti dell’affare Panvini. Era il 1957 e Amalia e Rosetta
Panvini, rispettivamente figlia e madre, furono scoperte a Vercelli in
un’intesa attività di falsificazione.
Nella loro
casa venne rinvenuta una quantità enorme di carte con la grafia di Benito
Mussolini, una trentina tra quaderni e agende, compilate tra il 1929 e il 1939.
Quali i veri e quali i falsi, scritti dalle stesse Panvini per venderli?
L’affare
Panvini e il ministro di Salò
L’epopea dei
diari e dei quaderni del Duce comincia in prossimità della fine sanguinosa del
1945. A parte le agende, il dittatore aveva l’abitudine di fissare pensieri e
riflessioni in quadernetti. Uno ogni sei mesi. Fino all’affare Panvini era
opinione comune degli storici, a partire da Renzo De Felice, il massimo
studioso del Ventennio, che i diari del dittatore fossero stati affidati già
nel 1944 al barone Shinrokuro Hidaka, ambasciatore del Giappone in Italia dal
maggio 1943 e divenuto intimo di Mussolini.
De Felice
teorizzò che Hidaka avesse scambiato le carte con gli americani in cambio della
libertà e della carriera diplomatica, che infatti proseguì anche nel
dopoguerra. Alla fine degli Anni Cinquanta, il processo ad Amalia e Rosetta
Panvini, condannate per falso e truffa, portò però alla luce un altro filone,
da far risalire all’alessandrino Paolo Zerbino, ministro dell’Interno a Salò,
ucciso a Dongo ed esposto insieme al Duce e agli altri gerarchi a Piazzale
Loreto, a Milano.
Anche
Zerbino aveva un rapporto confidenziale con Mussolini e poco prima del 25
aprile 1945 avrebbe affidato una parte di agende e quaderni a un commissario di
polizia di Vercelli: Giulio Panvini, che morì un paio di anni prima che la
moglie (Rosetta) e la figlia (Amalia) venissero scoperte.
La copia
dagli originali e le carte mancanti
Lo stesso
Panvini, prima di morire, aveva ordinato a due tipografie di stampare varie
agende degli Anni Trenta e quaranta con indicazioni ben precise. È un chiaro
indizio che per la falsificazione dei diari si voleva copiare da un testo
originale e rimanerne il più fedele possibile. Il processo alle Panvini sancì
che le due fossero solo falsarie e non “copiatrici”. Ma Amalia Panvini, fin
quando è vissuta, ha sempre sostenuto di aver copiato da documenti veri. Non
solo.
Il coinvolgimento
nella vicenda di altri familiari e di un ambiguo avvocato ha fatto sospettare
che non tutto il materiale in possesso delle Panvini fosse stato sequestrato.
Di qui, appunto, si arriva all’agenda del 1942 che Storia in Rete mette a
confronto con un falso delle Panvini, sempre dello stesso anno.
Quest’ultimo
venne offerto nel 1967 a un giornale britannico, il Sunday Times, che però poi
non lo pubblicò più. Nel raffronto tra le due versioni, l’agenda delle Panvini
appare come una copia dell’originale in possesso del collezionista svizzero.
“Hitler
emaciato e stanco”
In questa
pagine, il Duce usa parole dure per il genero futuro traditore, Galeazzo Ciano,
e l’alleato nazista, Hitler. Ecco i dettagli dell’incontro con quest’ultimo il
29 aprile: “Lo trovo emaciato e stanco. A l l’arrivo egli è nel gruppo coi
suoi: Ribbentrop Dietrich Borman il ‘Gauleiter’dott. Scheck tutti visi duri
arcigni bocche acide, aspetto ferrigno, odiosi!”
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