domenica 17 maggio 2015

LA BUONA SCUOLA NON BLOCCA GLI SCRUTINI, BY D'ANGELO






1 - "Ragioni per non cedere agli scioperi-pirata nelle scuole. Bloccare gli scrutini contro la riforma è illegittimo, dice il garante degli scioperi. Renzi ascolti lui, e soprattutto ricordi come Blair smontò le resistenze sindacali sulla scuola"
di Renzo Rosati
2 - "I test Invalsi misurano la scuola, così qualcuno ha fifa"
di Maurizio Crippa

1 - "Ragioni per non cedere agli scioperi-pirata

nelle scuole."
di Renzo Rosati

Il Matteo Renzi che si è presentato in video illustrando la riforma della scuola con lavagna e gessetti, e soprattutto con un tono conciliante che va bene per una questione da affrontare senza "battaglie politiche e slogan ideologici" - questa l'intenzione del premier, speriamo che invece non si tratti di scrupoli elettorali - non può però non tener conto di quanto ha comunicato Roberto Alesse, presidente della Commissione di garanzia per gli scioperi: il blocco degli scrutini ipotizzato da alcune sigle sindacali, Snals e Cobas, è illegittimo.

"E dunque scatterebbe obbligatoriamente la precettazione". Si tratta di evitare la paralisi della conclusione dei cicli scolastici, spiega Alesse, augurandosi che precettare i docenti resti un'ipotesi tecnica.
I test Invalsi misurano la scuola, così qualcuno ha fifa Ma augurio o non augurio, obbligo o non obbligo di legge, esiste anche e soprattutto un problema di credibilità da parte del governo, sia nel difendere i suoi propositi riformatori, sia l'interesse generale: che in questo caso è rappresentato da quel servizio pubblico fondamentale che si chiama istruzione, e da chi ha il diritto di fruirne, dunque studenti, famiglie, e da lì a scendere.

E solo in subordine da professori, presidi e impiegati. E se Renzi vuole essere credibile sulla scuola, almeno quanto lo è stato sulla legge elettorale e sulle varie misure sulle quali ha posto la fiducia, deve esigere - non chiedere, esigere - che da parte dei sindacati si tolga immediatamente dal tavolo qualsiasi ipotesi di scioperi e blocchi, compresi i boicottaggi dei test Invalsi da parte di aree studentesche organizzate. Non si tratta con le pistole sul tavolo, è una vecchia regola. Il premier ha tolto le sue, rappresentate dal ricorso alla fiducia. Chieda a tutti gli altri di fare altrettanto.
 
Curiosamente, proprio in queste ore, arriva dalla Germania un riconoscimento alle norme antisciopero italiane, mentre il settore pubblico tedesco, in particolare i trasporti, sono colpiti da un'ondata di agitazioni. Sulla Sueddeutsche Zeitung, Maurizio Del Conte, professore alla Bocconi di Milano e consulente del governo Renzi per la riforma del Lavoro, spiega che cosa la Germania potrebbe imparare dall'Italia, che negli anni è riuscita a mettere a freno i piccoli sindacati con un forte diritto di ricatto: "Gli scioperi che travolgono la Germania ricordano gli anni Settanta e Ottanta, fase ingloriosa della politica sindacale nel settore pubblico italiano.

Proprio allora ci siamo fatti una cattiva reputazione internazionale. Tutti quelli che volevano visitare l'Italia prima dovevano dare un occhio al calendario degli scioperi dei treni, degli aerei e dei traghetti. I protagonisti di questa strategia dello sciopero costante erano soprattutto i piccoli sindacati che avevano la possibilità di ricattare la società per il fatto di essere concentrati nei centri nevralgici del pubblico impiego".
 
Ecco, cerchiamo di non smentire subito questa immagine che l'Italia ha faticato a riconquistare; di non smentirla proprio a opera del governo che ha abolito fin da subito la concertazione (e i suoi ricatti, che non vengono solo dai sindacatini), e di un premier che dichiara di volersi ispirare a Tony Blair e al suo New Labour. E dunque dovrebbe ricordare con quale slogan Blair iniziò all'Università di Southampton, il 23 maggio 2001, un famoso discorso contro le resistenze sindacali e politiche alla riforma della scuola inglese, che quasi minacciavano di replicare le barricate dei minatori contro Margaret Thatcher. Quello slogan era "Education, education, education".

Abbiamo già avuto segretari del Pd, di nome Bersani, che per piegarsi al volere sindacale si inerpicavano sui tetti dell'università di Roma. Non gli ha portato bene.

2 - "I test Invalsi misurano la scuola, così qualcuno ha fifa" di Maurizio Crippa

Mamme che tengono a casa i bambini perché ci sarà “una tracciabilità nel tempo delle prove dei nostri figli”. Cobas in sciopero contro “lo strumento base su cui cammina la riforma”, dimenticando però che si fanno dal 2007. Prof che fanno “sciopero di mansione”, tuttora vanamente in dubbio se rientrino nei loro compiti di lavoro o no (risposta: sì). E ragazzini del biennio che scrivono sul foglio #nonsiamocrocette. La rivolta dei masanielli contro i test Invalsi è uno di quegli spettacoli che inducono inevitabilmente alla polemica, al corsivo.

Ma poiché lo spazio è poco e i (mis)fatti si spiegano da sé, si dirà solo l’essenziale. Quelle pretestuose rivolte sono la fotografia di una società – che è la scuola, ma non solo – refrattaria al giudizio, alla valutazione. A concepirsi in termini di merito, di capacità di evoluzione e di miglioramento. Un sistema in cui gli elementi frenanti sono solidali l’uno con l’altro.
 
E’ più utile provare a spiegare perché i test Invalsi, buoni o cattivi che siano (c’è chi sostiene siano cattivi, e con argomenti non trascurabili di metodo e di merito), non sono inutili e vanno fatti. Come pure vanno fatti i test Pisa (Programme for international student assessment) – quelli sì dedicati a misurare gli studenti – lanciati nel 2000 dall’Ocse per valutare l’apprendimento in matematica, scienze e capacità di lettura dei ragazzi di 15 anni in tutto il mondo. Anche quelli vengono spesso contestati, forse perché (ancora nel 2012) il punteggio degli studenti italiani è stato di 485, sotto la media Ocse (494).
 
W la squola Il tema centrale è questo. La valutabilità, o meno, di un sistema nel suo complesso. Che si tratti dei risultati scolastici degli studenti (Pisa) o dell’efficacia didattica, come è lo scopo degli Invalsi. Creare concorrenza tra le scuole (e tra gli studenti) per molti è ancora un tabù, ma nessuno più nega che una scuola “che funziona” sia meglio di una abbandonata al caso, o a se stessa. E per avvicinarsi a un modello che funzioni c’è bisogno (anche, è il minimo) di standard di misurazione da cui partire.

L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (un nome che uccide di burocrazia, e vorrà dire qualcosa) è da sempre criticato, con i suoi test, soprattutto perché i risultati non avrebbero efficacia comparativa: diverse le realtà sociali e geografiche, diversi i metodi di insegnamento. Luca Ricolfi, anni fa, fu uno dei primi a denunciare anche “la tenacia con cui gli insegnanti colludono con gli studenti”, dipendente dall’idea “che una ‘classe che va male’ segnali un ‘insegnante che non sa insegnare’”. Idea parente del senso di colpa per cui “se un ragazzo non ce la fa la colpa è innanzitutto della scuola, che non l’ha motivato, non l’ha sostenuto, non l’ha aiutato, non l’ha recuperato”.

Da qui nascono tante posizioni banali, spesso dei sindacati, che chiedono di “non buttare soldi” con i test Invalsi e di spenderli per il recupero della dispersione scolastica, come se questo problema fosse un male di stagione, senza rapporto con quello che si fa o non si fa a scuola.
Si potrebbe, piuttosto, obiettare che le valutazioni a test non sono sufficienti, e anzi sono fuorvianti. Negli Usa c’è un forte dibattito sul Common Core, un sistema di test con lo scopo di offrire a livello federale un feedback sull’apprendimento, per poi orientare le performance verso uno standard unico.

Un approccio secondo molti sbilanciato sul problem solving e su una eccessiva parcellizzazione del sapere, nonché limitativo della libertà di insegnare. Purtroppo in Italia siamo lontani anni luce dal poterci dedicare a questi dilemmi. Da noi c’è solo un sistema che si pretende ingiudicabile se non da se stesso (“l’autovalutazione” è un mostro che sta rientrando nella “Buona scuola”). Che rifiuta di sottoporsi a verifica per la paura di (far) scoprire che la scuola A nella regione B è diversa dalla C nella regione D. Quando l’ex ministro Carrozza suggerì di estendere alle università il test Invalsi, fu accusata di voler “imporre un particolare modello di scuola escludente, incapace di valorizzare le differenti intelligenze”. Spiegare che non è così, direbbe Dante, “è duro calle”.

6 commenti:

  1. Ai vecchi tempi la Pravda cercava di salvare le apparenze... qui è proprio il tappetino del regime renziano.
    Devo essere rimasto solo io scrivere qualche commento.. sono scappati tutti. Cercherò di resistere il più possibile ma è dura..
    Renzolastro

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  2. non e' un post che ho curato io ma rispondo al suo commento volentieri, nel "regime renziano " come lo chiama lei si cerca di far qualcosa per il bene di questo paese, mentre quelli del suo stesso partito, vergognosi i vari Bersani, Fassina, D'Attorre, cercano di colpire alle spalle come vigliacchi la persona che con enorme abnegazione e impegno cerca di cambiare le cose, magari anche facendo qualche errore come lui ha ammesso ieri nell'intervista a domenica in, ma lavorando sodo. Ecco perchè ho fatto la tessera del PD, per aiutarlo moralmente, un partito che non lo merita.
    Se fosse stato dall'altra parte, sarebbe stato osannato come colui che finalmente fa cio' che andava fatto da 20 anni altro che '
    La parte del suo partito che e' rimasta nel cuore comunista non sopporterà mai di essere guidata da uno che non lo e' mai stato e sta cercando di distruggerlo; idem i sindacati mangia pane a ufo, vecchi e nuovi politicanti da strapazzo, grandi commis di stato con pensioni di platino, certi radical chic alla Ferruccio De Bortoli , Brunetta, che sarebbe un insulto in qualunque partito , un bel gruppo, in cui ci sta anche lei caro il mio renzolastro .

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  3. Renzi sta facendo qualcosa di buono?
    Mi sa indicare una sola cosa buona fatta caro blogger?

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  4. La "buona scuola" dovrebbe garantire oltre a insegnanti preparati anche sedi appropriate, mezzi e materiale necessari per poterla frequentare al meglio. Ma mentre le scuole pubbliche cadono letteramente a pezzi (controsoffitti che cadono in testa agli alunni nei migliori dei casi), in alcune manca addirittura la carta igienica, in altre sono direttamente le maestre a farsi carico di fotocopie e, nei casi più disperati, di penne e quaderni per gli alunni bisognosi (senza contare i "fondi cassa" da parte di alcuni genitori), si continuano a erogare finanziamenti alle scuole private ops scusate "paritarie" in nome della pluralità dell'offerta!!!! E alcuni dei nostri cari politici si dicono addirittura contenti di questa battaglia per il trattamento a detta loro "paritario"...ma paritario di che visto che le scuole "paritarie" ricevono soldi pubblici e soldi privati sotto forma di rette. Da che mondo e mondo la scuola privata è privata perchè gestita con soldi di privati sotto forma di rette o no?!? Sara' un caso che la stragrande maggioranza di quest'ultime siano scuole cattoliche (63%) gestite da cattolici....mah! Quando la scuola pubblica non sarà più finanziata dai privati e la scuola privata finanziata dai soldi pubblici questa sarà una buona scuola!

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  5. Renzi-Verdini non sorge il dubbio che potrebbe essere la P2 che avanza. Licio Gelli sognava questa Italia.
    ex renziano

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  6. Sono tutti della stessa zona.. sarà l'aria....

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